Roma - Tra ragione e sentimento vince la ragione. Nessuna rissa coi finiani, quindi. Ma qualche timore per la Lega. Berlusconi gongola per l’abbraccio dei giovani pidiellini alla festa di Atreju ma subito placa gli animi più arroventati. Non una battuta ostile su Fini neppure quando lo cita per la prima e unica volta e dalla platea parte una salva di fischi. «Non escludo scintille», confidava prima del discorso un deputato pidiellino, seduto nelle prime file. Ma i fuochi d’artificio contro quelli che tutti considerano «il traditore» non ci sono.
Toni bassi, concilianti e zero polemiche. Neppure quando al termine del discorso il Cavaliere si presta, contro voglia, al gioco della torre perché «io non butto giù nessuno. Sono capace solo di cose positive». Non infierisce neanche quando gli viene chiesto se preferirebbe un’estate in barca con Massimo D’Alema o un soggiorno in quel di Montecarlo. Sorride e basta e si rifugia in una battuta: «Vedo che mi volete male. La prossima estate? Come quella appena passata: a lavorare tutto agosto assieme a Gianni Letta. Anzi, siccome Letta non ha mai lasciato palazzo Chigi, al prossimo Consiglio dei ministri proporrò di cambiare il nome in palazzo Letta».
Già, Letta. Ha vinto la linea del sottosegretario alla presidenza del Consiglio che poi coincide con quella di quasi tutti i suoi più stretti consiglieri: calma e sangue freddo. Per ora. In questo momento non serve lo scontro aperto. Serve rassicurare l’opinione pubblica che «il governo va avanti», che «andremo alle elezioni tra tre anni». Tre i motivi: «Abbiamo una maggioranza; abbiamo il dovere di governare; gli elettori non capirebbero il ritorno alle urne e avremo un livello di astensionismo altissimo».
La parola d’ordine è dispensare ottimismo e non stuzzicare il gruppo del Fli perché in fondo, «nessuno del gruppo di Fini vuole venire meno al patto con gli elettori». Non solo: il Cavaliere arriva a giudicare «apprezzabile» la decisione di coloro che hanno seguito Fini per «riconoscenza nei confronti di chi li ha messi in lista». Chi si aspetta veleno sui futuristi rimane deluso: una conferma che i segnali di pace e i canali di una trattativa coi finiani non si sono interrotti, anzi. Soprattutto sul nodo giustizia pare si stiano studiando soluzioni condivise. Sul tavolo c’è sempre la questione più spinosa, ossia il lodo Alfano: scudo giudiziario per il capo del governo contro le bordate della magistratura politicizzata, a cui lo stesso Bocchino s’è detto disponibile.
In cambio i finiani pretendono che Berlusconi metta un freno all’alleato leghista che, invece, scalpita per le urne. Già per bocca del ministro Maroni il Carroccio ha fatto sapere che «se ci saranno i 316 voti di fiducia il governo va avanti, se no si deve dimettere». Il riferimento chiaro è al voto che seguirà il discorso di Berlusconi a Montecitorio, a fine mese. È il famoso discorso dei cinque punti su cui Berlusconi ammette che «Sì, si voterà. E avremo non solo la maggioranza ma una grande maggioranza».
Quanto grande? Inutile negare che molti hanno pensato al pallottoliere. La maggioranza necessaria è di 316. Pdl, Lega e Fli raggiungono ora quota 331. A oggi è probabile che i cinque punti otterranno il via libera di circa quindici deputati in più. Quindici ma non venti. Se infatti si arrivasse a venti, il risultato sarebbe evidente: i finiani non sarebbero più determinanti. E i toni di Berlusconi nei confronti di Fini sarebbero stati di certo differenti. Ma di qui a fine mese ci sono altre due settimane.
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