Petra - Di certo è stato il palco più suggestivo del mondo, qui a Petra, piccolo e striminzito in un piccola conca tra quelle rocce rosa che in Giordania sembrano bolle di storia, rotonde, quasi minacciose. Davanti, il proscenio si apriva sul deserto arabo. Dietro la scenografia rocciosa era scolpita dal vento dei secoli. E due gigantesche foto del Maestrone sorridente abbracciavano quasi il palco. E se c’era un posto per celebrare il 73º compleanno di Luciano Pavarotti, morto poco più di un anno fa, questo è quello giusto: raccolto (appena 500 spettatori, biglietti a 7000 euro l’uno), meraviglioso, unico. Lo hanno capito subito anche gli artisti, che ieri pomeriggio affondavano i piedi nella sabbia con il naso insù (la Pausini era stupefatta dal silenzio misterioso che ovatta tutto) e poi alla sera, davanti alla regina Rania, alla principessa Haya, al presidente della Camera Gianfranco Fini e agli amici del tenore – c’era persino il memorabile e spiritoso «Panocia», confidente per quarant’anni – hanno cantato in omaggio al Maestro con la Filarmonica di Praga diretta da Eugene Kohn. E qualche volta si possono anche usare (ancora) i superlativi: musica perfetta, spettacolo straordinario. Tanto per iniziare, il primo a cantare è stato José Carreras, appena atterrato da Mosca e capace di arrampicarsi in una spavalda Chitarra romana di Di Lazzaro. Subito dopo è arrivato Placido Domingo, anche lui sceso da un aereo (stavolta provenienza Mumbay) giusto in tempo per cantare Amor, vida de mi vida dalla Maravilla. E poi, insieme per la prima volta dopo la morte di Pavarotti e la fine dei Tre Tenori, hanno intonato una Non ti scordar di me che ha fatto letteralmente commuovere molti in platea. Forse il momento più esaltante, certo quello che farà il giro del mondo. L’atmosfera, be’, quella era sensazionale, tanto più che il sole lontano del tramonto allungava le ombre fino a confonderle con la roccia. E allora, dopo una Vissi d’arte della brava Cynthia Lawrence e due lunghi assoli del flautista Andrea Griminelli (tra cui The Mission di Ennio Morricone), è stato Jovanotti ad aprire le porte del pop. «Preparatevi perché sarà una versione quasi di jazz cinematografico» aveva detto durante le prove. E quando ha iniziato a cantare Guarda che luna di Fred Buscaglione qui si è capito perché: lo spirito del grande torinese era rimasto, ma si era aggiunta quella delicatezza swingante che ormai è la cifra di Jovanotti e che l’orchestra (e il bassista Saturnino) hanno saputo esaltare. «L’ultima volta che ho visto Pavarotti, stava ascoltando un cd di Buscaglione», ha detto Lorenzo. «E mi disse: tu potresti fare un disco come lui». Subito dopo, su richiesta della vedova Nicoletta Mantovani, autentica mente dell’evento, ha intonato A te, bella, dolce, adatta a questo posto.
Insomma, avete capito: ciascuno qui ha fatto il suo omaggio al tenore dei tenori. Lo ha fatto Sting, interpretando Have you seen the bright Lily e Fields of gold e spingendosi fino a Là ci darem la mano dal Don Giovanni di Mozart con la soprano Angela Gheorghiu. E poi Zucchero (Va’ pensiero di Verdi, Miserere, il Mondo che vorrai), Andrea Bocelli che ha cantato Mattinata, di Leoncavallo, E lucean le stelle dalla Tosca prima di duettare con Laura Pausini in Vivere. Però, a dirla tutta, il duetto più riuscito, quello che senz’altro avrebbe fatto applaudire anche Pavarotti è stato il Caruso di Pausini e Jovanotti insieme, due voci quasi incompatibili eppure capaci di mescolarsi, chi godendo le note lunghe, chi evitandole, fino a diventare un tutt’uno.
In poche parole il concerto (diviso in due parti e lungo due ore) alla fine si è trasformato in un coro gioioso per festeggiare quel Maestro che non sembra quasi vero che non ci sia più. E alla fine, quando la sua voce ha chiuso lo show con un imperioso Nessun dorma registrato alle Terme di Caracalla nel 1990, il suono del vento l’ha portata fino là in fondo a perdersi nella notte, oltre le montagne.
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