Cultura e Spettacoli

Paz Vega: "Il film sugli armeni mi ha sconvolta e ho pianto sul set"

Paz Vega: "Il film sugli armeni mi ha sconvolta e ho pianto sul set"

Roma - Tutti pazzi per Paz. Di cognome, veramente, farebbe Campos Trigo, ma volete mettere come suona meglio, più esotico, quel Vega rubato alla nonna? Trent'anni, di Siviglia, lo sguardo sbarazzino e il corpo da pin-up, l'attrice spagnola è diventata nel giro di cinque anni una delle più gettonate, in patria e fuori. Merito di Lucía y el sexo, film morbosetto anzichenò, che la rivelò davvero in tutti i sensi. Ricorderete il manifesto: lei in motorino, ripresa di fronte, capelli al vento, abituccio rosso scollato senza nulla sotto, la sensualità a fior di pelle.
Una decina di film dopo, eccola protagonista di La masseria delle allodole dei fratelli Taviani (esce venerdì, distribuito da 01, dopo l'anteprima berlinese). Sempre di rosso vestita, l'incarnato armonioso e i capelli raccolti in un mezzo chignon: ma con un pancione di otto mesi che non ne attenua la bellezza mediterranea. Nel drammatico film, tratto dal romanzo di Antonia Arslan, interpreta Nunik Avakian, giovane armena benestante invaghitasi di un ufficiale ottomano, Egon (è Alessandro Preziosi), in quell'atroce 1915. Un amore impossibile, di lì a poco, infatti, i Giovani Turchi al potere, pressati dalla guerra coi russi, daranno avvio allo sterminio di quella che considerano «gente ricca e infida». Genocidio sistematico: prima gli uomini, squartati e castrati, poi la deportazione verso il deserto di donne e bambini.

Al pari di Penélope Cruz, Paz Vega è oggi una spagnola da esportazione. Infatti abita in America insieme al marito Orson Salazar. Lì, dopo essersi fatta notare in Spanglish, dove non spiccicava una parola di inglese, ha girato 10 Items or Less accanto a Morgan Freeman. Intanto in Spagna è appena uscito tra qualche mugugno Teresa, el cuerpo de Cristo, nel quale incarna Teresa d'Avila. Spiega: «Non volevo scandalizzare nessuno. Sono cattolica, il film è rigoroso, mai blasfemo. Purtroppo è bastata la mia presenza per accendere la polemica».

Evidentemente sempre lì si torna, a Lucía y el sexo, gioia e maledizione di una carriera che pure ha saputo sperimentare strade diverse, incluso il registro comico.
Certo non si ride in La masseria delle allodole. Il genocidio degli armeni (1 milione e mezzo di morti) viene restituito in un'ottica di saga familiare, tra scoppi di violenza sanguinaria e momenti di calda solidarietà. «Vivo in America, ma se i Taviani chiamano, si va! Sono volata a Roma incuriosita, onorata. Mi hanno trattato come una figlia, anche se non mi avessero presa sarebbe stato bello lo stesso», confessa l'attrice sotto lo sguardo protettivo dei due registi. I quali premettono: «Vorremmo fosse chiara una cosa. Non abbiamo fatto un film contro i turchi. Pensiamo anzi che la Turchia debba entrare nell'Unione europea, anche per stabilire un ponte tra l'Europa e la realtà mediorientale. Ma, prima, il governo di Erdogan dovrebbe riconoscere l'infamia commessa, fare luce sul passato, condannare ciò che avvenne nel 1915. Noi amiamo il popolo turco... non tutto però».

Per i Taviani, La masseria delle allodole è anche un film sulla «nostra contemporaneità, sull'odio tra popoli fratelli, sulla realtà che si capovolge nel suo opposto e sprofonda nell'orrore».
Concorda Paz Vega: «Un film non cambia i destini del mondo, lo so, ma può contribuire a far aprire gli occhi, a smuovere le coscienze. Ogni giorno si consumano massacri nel disinteresse generale. Io stessa, prima di leggere il copione, sapevo ben poco del genocidio armeno, a scuola non ti insegnano niente». L'incontro con quel «pezzo di memoria cancellata» ha avuto su di lei un effetto sconvolgente: «Sul set, girando le scene dell'esodo, mi sono ritrovata a piangere, era un po' come rivivere sulla mia pelle le sofferenze indicibili di quel popolo. Un'esperienza davvero unica». Come unica, dice, è l'esperienza della maternità. «Sono felice, mi sento realizzata, in pace col mondo. Un figlio non può che cambiarti in meglio. Certamente non condizionerà il mio lavoro, semmai darà ad esso un senso ancora più pieno. Non rinnego niente del passato, sono fiera della mia femminilità, ci gioco pure se mi va. Sapete, sono molto spagnola». Per questo Giovanni Veronesi l'avrebbe voluta in Manuale d'amore 2.

Lei sorride: «M'è dispiaciuto non esserci, solo una questione di date».

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