RomaCi mancava solo la «lettera dei 49 senatori» del Pd che contestano Pierluigi Bersani, le «stantie liturgie» del partito e chiedono «un cambio di passo». In compenso, Emma Bonino difende il segretario del Pd contro la minoranza che lo attacca («lui mi ha sostenuto lealmente, altri no») e Marco Pannella dice di voler prendere la tessera del Pd, per sostenere Bersani. Il quale non sa se considerarla una promessa o una minaccia.
Il day after della sconfitta alle Regionali è amaro e caotico, nel centrosinistra, dove pare già partito il consueto tritacarne dei leader. E dove lunico che per ora pare avere una strategia in testa è lex pm Antonio Di Pietro. Tra gli sconfitti, lui si sente comunque il vincitore: beati monoculi in terra caecorum, come dicevano i latini. In effetti, se dalle regionali del 2005 il Pd ha perso 2 milioni di voti, Antonio Di Pietro ne ha guadagnato uno, e già fa capire di essere deciso a farlo pesare tutto. «Bisogna individuare subito, entro la fine dellanno, il candidato premier per il 2013», intima dallalto del suo 7 per cento. Lui si tira fuori («sono un soldato, non il generale»), ma soprattutto tira fuori Bersani, che a suo dire non rappresenta a sufficienza il «rinnovamento». Bisogna cercare altrove, «fuori della storia politica del Paese», una personalità che faccia parte del mondo «culturale o manageriale e che abbia mani pulite».
Tonino ha un candidato? Non pare. Però ha unidea: diventare il Bossi del centrosinistra, il detentore della golden share senza la quale non si decide nulla, e mettere sotto tutela il principale partito della coalizione. Sbarrando la strada a operazioni con lUdc: quel «fuori dalla storia politica» mette un chiaro veto su Pier Ferdinando Casini.
Bersani prova a reagire allassedio invitando i compagni di partito a smettere di «guardarsi lombelico» avvitandosi in polemiche interne e a mettersi «a lavorare»; e calmando i bollenti spiriti di Di Pietro: «La discussione sul candidato premier mi pare un po prematura». E si mostra dialogante con tutti: apre le braccia a Beppe Grillo, con cui bisogna «parlare»; dà appuntamento subito dopo Pasqua ai 49 ammutinati di Palazzo Madama: «Dobbiamo parlare», dice al loro capofila Giampiero Scanu, franceschiniano di ferro. Insieme a lui la lettera è stata firmata da senatori della minoranza interna ma anche da Silvio Sircana, che ha sostenuto Bersani. Ma che critica gli «eccessi di cencellismo» nella spartizione delle cariche interne, e denuncia la «malattia del bunker» che affligge, a turno, i dirigenti Pd. La chiave del messaggio dei 49, che secondo molti potrebbe diventare il detonatore di una drammatica rottura nel Pd tra dalemiani e veltroniani, è: niente dialogo con la maggioranza sulle riforme, niente «scellerate trasversalità» con Berlusconi e scambi tra presidenzialismo e legge elettorale tedesca. Non a caso la lettera arriva dopo che Massimo DAlema, nel vertice di martedì notte, è tornato a sostenere che il successo della Lega è un «elemento di destabilizzazione» nel centrodestra, e che il Pd deve sapersi «incuneare» nel pertugio per riaprire il famoso «tavolo delle riforme».
Il veltroniano Giorgio Tonini lamenta: «Non possiamo continuare a oscillare tra la subalternità ai viola e quella a Berlusconi, mentre intanto pure gli operai dellEmilia smettono di votarci». Il capogruppo Franceschini invita a imboccare «la strada del coraggio». Il vicesegretario Letta riconosce che «sulle alleanze dobbiamo ripartire da zero, lUdc non basta». Per Sergio Chiamparino «rischiamo per molti anni di non riuscire a rappresentare unalternativa credibile, più il tempo passa e più la situazione peggiora».
Nel caos interno, litigano anche i «giovani leoni», quelli che dovrebbero rappresentare il futuro: il sindaco di Firenze Renzi accusa il romano Zingaretti di «viltà» per non essersi candidato nel Lazio, quello gli replica che la smettesse di «far sempre il maestrino del giorno dopo».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.