Il Pd cala la carta Letta per la scalata al Pirellone

«Se Formigoni si candida e il Pdl rimane compatto, non c’è partita. Ma se ci fosse un candidato della Lega...». Lo sbandamento ai limiti dello sconforto che percorre le sparute truppe del centrosinistra milanese e lombardo trova sollievo solo davanti alla prospettiva di una spaccatura in campo avverso. E nel Pd c’è chi comincia a sognare un cavallo vincente, un candidato in grado di giocarsi la partita delle regionali 2010.
Il nome c’è ed è quello di Enrico Letta, a trentadue anni il ministro più giovane della storia della Repubblica. Adesso che di anni ne ha quarantatré, studia da candidato presidente del consiglio alle prossime politiche e molti vedono la sua alleanza con Pierluigi Bersani come un ticket in cui Bersani è l’uomo macchina del partito e Letta il personaggio da spendere nelle istituzioni, tra gli elettori e soprattutto nel mondo cattolico moderato.
«Quel che oggi manca a Letta è un solido radicamento territoriale, indispensabile per consolidarsi ed evitare trappole», osserva un esponente del Pd milanese tra i più accesi supporter della mozione Bersani. E una performance riuscita in Lombardia sarebbe più che un trampolino, un podio da cui ascendere verso la corsa a palazzo Chigi. Il ragionamento degli esponenti del Pd lombardo sarà d’attualità nei colloqui di questa sera alla Festa democratica del Palasharp, quando salirà sul palco proprio Enrico Letta, per spiegare perché «il passo alla Reinhold di Bersani» sia secondo lui il più adatto alla «lunga scalata», ovvero ai quattro anni di governo Berlusconi che sono una granitica certezza.
Inutile dire che la sfida al Pdl in Lombardia, che di Berlusconi è una roccaforte, è ritenuta un’impresa ai limiti dell’impossibile. L’unica alternativa a Letta (a parte l’incognita Antonio Di Pietro) sembra una candidatura di bandiera, o addirittura di desistenza. Filippo Penati, a cui è stato proposto di lanciare la sfida al Pirellone, ha rifiutato quasi sdegnato con uno sconsolato «tanto si perde» che ha indignato i teorici del sacrificio di vecchia scuola comunista. Anche perché l’ex presidente della Provincia, uscito sconfitto dalla contesa con Guido Podestà, è invece interessato a una competizione più confortevole, quella da capolista milanese alle regionali. Circolano altri nomi, come l’ex segretario della Cisl, Savino Pezzotta, l’ex presidente della Regione, Bruno Tabacci, il consigliere comunale Davide Corritore, l’europarlamentare Antonio Panzeri. Ma la speranza di molti è poter giocare colui che ritengono l’asso della coalizione.
Letta, pisano di origine e internazionale di curriculum, ha legami forti con il mondo imprenditoriale milanese e lombardo e da sempre cala a Milano a ogni occasione buona, soprattutto in campagna elettorale. Nel breve periodo di vita del governo Prodi, da sottosegretario alla presidenza del consiglio, ha coordinato il tavolo Milano, nato (con molte buone intenzioni e scarsi risultati concreti) per affrontare i temi caldi del territorio, dall’Expo a Malpensa alla sicurezza alle infrastrutture e chi più ne ha più ne metta. Non ha mai mancato un appuntamento degli industriali a Cernobbio né un incontro con i commercianti di Carlo Sangalli. Così, tra i politici di sinistra, è uno dei pochissimi a essere ritenuto un interlocutore dal mondo economico e finanziario, delle piccole e medie imprese e della partite Iva.
È l’uomo di una possibile alleanza tra Pd e Udc, in Lombardia possibile solo nel caso assai improbabile in cui Roberto Formigoni facesse un passo indietro. Al momento, infatti, le simpatie del partito di Pierferdinando Casini sono orientate verso il Pdl, con cui l’Udc governa serenamente sia in Regione che a Palazzo Marino.

Uno scenario che risulterebbe molto diverso, per non dire opposto, se facesse capolino un candidato leghista. Allora a sinistra si riaprirebbero i giochi. I fan di Letta, speranzosi, buttano lì: «È anche un tifoso accanito del Milan...».

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