Il Pd cambia «inno» ma dai leader viene la solita solfa

Da Vasco Rossi agli Scorpions la musica nel Pd cambia. Anzi no. L’assemblea democrat a Roma, mille delegati compresi tutti i big in prima fila, si è aperta ieri al suono di Wind of change, canzone composta nel 1990 dalla rock band tedesca per «festeggiare» il crollo del muro di Berlino. Se cambiamento doveva esserci, però, non c’è stato né nella forma né nei contenuti. Nelle 19 cartelle del discorso del segretario Pd Pier Luigi Bersani, roba da Comintern, precedute dall’intervento del presidente Rosy Bindi («Siamo pronti a quel cambio di passo auspicato dopo le Regionali»), non è arrivata una proposta una, ma solo l’annuncio di un «doveroso ostruzionismo» al governo. Neppure uno straccio di idea oltre alla altrettanto doverosa ammissione di colpa per non aver saputo «interpretare il disagio e l’inquietudine profondi che il Paese ormai disamorato vive».
Sulla Finanziaria, è l’accusa di Bersani alla maggioranza, «serve una sfida sul terreno che abbiamo sempre chiesto: non l’ennesimo “tirare a campare”» o «un federalismo a chiacchiere» ma bisogna «alleggerire rapidamente il lavoro, l’impresa e le famiglie e mettere il carico sulla rendita e sulle ricchezze» e puntare su «mercato, piccole e medie imprese ed efficienza energetica». Il come? Non pervenuto. Poi l’appello alle altre opposizioni, ma per carità «su un progetto, non su meccanismi politicistici» come in passato. Vabbè.

Se per i colonnelli Pd, Massimo D’Alema in testa, dall’assemblea è arrivata «una boccata d’aria fresca» e se per l’ex leader Walter Veltroni «c’è una buona base di discussione», i commenti della maggioranza sono di tenore opposto: «Minacce, insulti e annunci di Aventino», dice il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri, mentre il ministro leghista alla Semplificazione Roberto Calderoli replica: «Le chiacchiere sono quelle che fa Bersani e sono chiacchiere a perdere». FMan

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