Pd, D’Alema cede a Veltroni

Fassino ne ha annunciato la candidatura, secondo una liturgia di scuola comunista. Il segretario verrebbe risarcito con l’ingresso al governo da vicepremier. I fassiniani masticano amaro: come al solito quei due alla fine si sono messi d’accordo

Pd, D’Alema cede a Veltroni

Roma - Il treno di Walter Veltroni sta per partire. La riserva ancora non è sciolta, e al Campidoglio assicurano che non lo sarà neppure oggi: il sindaco di Roma è un uomo prudente, e prima di annunciare in pompa magna la sua discesa in campo vuole essere sicuro che non ci siano cecchini appostati. E vuole anche certezza sulle «regole», quelle che dovranno presiedere alla sua elezione a segretario del Partito democratico (e candidato premier in pectore) e che ancora non sono state scritte.

Attende ancora, dunque, pur assicurando che «non aspetterete a lungo» la risposta. Anche perché il colloquio con Romano Prodi, ieri pomeriggio, non è stato privo di ombre. Veltroni assicura che «è andato benissimo», ma da Palazzo Chigi e da tutto l’entourage del premier in carica escono segnali poco entusiasti sulla «accelerazione improvvisa» che ha subito la vicenda. «Walter stesso - spiegano i prodiani - si chiede se non sia il caso di aspettare, perché fino ad ora avevamo immaginato un percorso diverso verso il Partito democratico. Buttata in pista così, invece, la sua rischia di sembrare la candidatura dei partiti, cosa imbarazzante per lui per primo».

Le perplessità del premier non sono difficili da comprendere: con Veltroni in pista, il dopo-Prodi è ufficialmente aperto, e l’alternativa al Professore è già in campo. La coabitazione tra un governo in seria difficoltà e un capo-partito già investito del ruolo di soluzione di ricambio può diventare assai faticosa per entrambi, ed essere di breve durata. E un esponente della Margherita vicino a Rutelli lo dice chiaramente: «Se Walter ha accettato un percorso che non era il suo, correndo il rischio di esporsi adesso, è perché gli hanno assicurato che, se questo governo salta, dopo c’è solo lui».

Si respiravano rabbia e delusione nelle file prodiane, ieri. Il ministro Santagata opponeva un no comment alle domande sulla candidatura di Veltroni, e intanto un plotone di seconde file sparava a raffica: «Di Veltroni penso tutto il bene possibile; ma di un Veltroni candidato unico penso il peggio che sia possibile», dice il bolognese Antonio La Forgia. «Serve una reale competizione tra posizioni e visioni concorrenti, non un candidato unico al riparo del quale le diverse visioni che ci sono si nascondono», incalza Franco Monaco. Parisi parla di «metodi vecchi». E anche il socialista Villetti lancia l’allarme: «Rischiamo di fare una frittata perfetta: non solo di indebolire Prodi come presidente del Consiglio in carica, ma anche Veltroni come possibile candidato premier per la prossima legislatura».

Le resistenze dunque ci sono, eccome. Ma difficilmente riusciranno a fermare l’ultimo treno di un centrosinistra che «non vuole morire per Prodi», come ammettono in casa Ds.
È toccato a Piero Fassino, secondo una liturgia di antica scuola comunista, annunciare ieri mattina che la Quercia chiedeva a Veltroni di scendere in campo: «Mi auguro che si candidi perché attorno a lui si può realizzare un consenso larghissimo». Proprio a Fassino, che fino a due giorni fa era deciso a giocare in proprio la partita, e a correre alle primarie per il Pd. Ora, dicono i suoi, verrà risarcito con un posto al governo: vicepremier al posto di Massimo D’Alema. Che è l’autore della rapida riconversione diessina: proprio lui di cui i veltroniani dicevano una settimana fa «non darà mai via libera a Walter», proprio lui che si preparava a sponsorizzare Bersani come segretario, ha capito che non c’era altra scelta. Che la pressione esterna pro-Veltroni, a cominciare da quella dei grandi giornali, era fortissima. Che Rutelli, lanciando la proposta di elezione diretta del segretario, aveva scombinato i giochi che si preparavano.

Che Marini e Franceschini premevano per Veltroni. Che i Ds sotto botta per le intercettazioni rischiavano di restare schiacciati. E ha fatto, sospira amaro un fassiniano, «quello che è sempre successo da vent’anni in questo partito: si è messo d’accordo con Walter».

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