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Il Pd fa le barricate e blocca il Parlamento

RomaDopo lo stop decretato dal Tar del Lazio, la grande mobilitazione contro il «golpe» elettorale del centrodestra rischia di afflosciarsi un po’. O almeno così si inizia a temere dalle parti del Pd. Che nelle ultime ora aveva messo in cantiere di tutto (dall’ostruzionismo «totale» in Parlamento alle manifestazioni di piazza; dai ricorsi delle Regioni contro il decreto ai parlamentari in tour col torpedone per incentivare la protesta) per «tenere alta la denuncia», come annunciato da Pier Luigi Bersani. Nella speranza che un lungo can can contro la «forzatura delle regole» operata col decreto finisse per penalizzare elettoralmente il Pdl.
La sentenza del Tar che ha bocciato la lista Pdl di Roma viene comunque accolta con gran soddisfazione dal principale partito di opposizione, che vede sparire dalla scheda - in una Regione clou per la partita di fine mese - un concorrente temibile. «Una lista che non esiste non può uscire dal cilindro neppure con un decreto», gongola Rosy Bindi. «Il governo con protervia e arroganza ha voluto a tutti i costi un decreto che ha prodotto spaccatura e tensioni e che si è rivelato superfluo per la Lombardia e inutile per il Lazio», infierisce la presidente del Pd. Mentre la capogruppo Anna Finocchiaro parla di «delirio di onnipotenza» del governo.
La mobilitazione di sabato si terrà comunque. Ma la preoccupazione di una parte del Pd che la piazza sfuggisse di mano, allineandosi alle parole d’ordine più estremiste, ora è meno acuta. Nella riunione di vertice dell’altra notte, tra i dirigenti Pd, si era svolto una sorta di braccio di ferro sullo sbocco da dare alla protesta anti-decreto. Il capogruppo Dario Franceschini aveva caldeggiato l’idea di una grande manifestazione nazionale di tutte le opposizioni in una sola piazza, a Roma. Massimo D’Alema si era opposto, spiegando che era più opportuna una serie di iniziative locali in diverse città d’Italia, per «diluire» il rischio di regalare la leadership della protesta a Tonino Di Pietro, e per stemperare i toni anti-Napolitano che avrebbero potuto registrarsi. «Di Pietro deve ragionare, non possiamo dare avallo a slogan contro il Quirinale o a parole d’ordine destabilizzanti». Anche se, come confida un dirigente del Pd, «gran parte della nostra base è furibonda col capo dello Stato e ritiene che abbia ragione Di Pietro a denunciare che ha fatto un favore al governo». Forse anche per questo non è stata accolta la sollecitazione di Franco Marini ed Enrico Morando, che chiedevano un pubblico riconoscimento da parte del Pd che Napolitano «non poteva non firmare».
Di Pietro, incassato comunque il risultato di trascinare tutti in piazza contro Berlusconi, ieri si è messo a spargere rassicurazioni: «Non voglio contribuire a spostare l’attenzione sull’arbitro che ha sbagliato: dobbiamo reagire tutti insieme al gioco scorretto del governo». Intanto ieri i deputati del Pd hanno dichiarato guerra in Parlamento: «Ostruzionismo totale», annuncia il vicesegretario Enrico Letta, «contro ogni provvedimento del governo». Anche facendo saltare gli accordi già presi tra maggioranza e opposizione sui tempi dei provvedimenti all’esame delle Camere. E sul legittimo impedimento, in discussione da oggi in Senato, si abbatte una valanga di 1.200 emendamenti. Mentre si moltiplicano i ricorsi alla Corte costituzionale, da parte delle regioni a guida di centrosinistra come il Piemonte o la Toscana. «Non possiamo accettare le ingerenze del governo in una materia che qui è regolamentata dalla legge regionale», ha spiegato da Torino la governatrice Pd Mercedes Bresso.

Una raffica di iniziative giurisdizionali utili ad allargare l’utilizzo del famigerato decreto come strumento di propaganda elettorale. Ora il Tar del Lazio ha messo uno stop. E qualcuno in casa Pd inizia a interrogarsi: «Ma non è che se passa dalla parte dei prepotenti a quella della vittima il Pdl finisce per guadagnarci nelle urne?».

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