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«Il Pd ha ottenuto lo scopo Credevo che applaudisse»

RomaIl presidente emerito Francesco Cossiga dice di se stesso: «Sono un cattolico infante». Dell’infante mantiene il linguaggio nudo e crudo, anche quando l’incedere delle notizie, come per la morte della Englaro, ne acuisce il senso: «Mi meraviglia che gli amici del Pd, cattolici e non cattolici, non siano scoppiati in un fragoroso applauso per il raggiungimento del risultato. Penso che questa grave lacuna sarà colmata dai giudici della Consulta e della Cassazione, con manifestazioni di giubilo, pubbliche e private...».
Come cattolico infante, «quando non capisco bene le cose, preferisco l’obbedienza», aggiunge. In questo caso, si presume, alla volontà di Dio. Cossiga è rimasto sconcertato, anzi «impressionato», dai medici che «tolgono il sondino dell’alimentazione». Ce l’ha con i giudici, perché hanno ritenuto di poter ricostruire la volontà di Eluana de relato: «Un’invasione di campo inverosimile». Ma non è una questione nella quale c’entri la divisione tra «laici e cattolici», dice al cronista laico che mette le mani avanti. «Ma ci sono tante altre cose che non ho capito...».
Per esempio?
«Avevo capito, per esempio, che il presidente Oscar Luigi Scalfaro avrebbe partecipato alla manifestazione ipercattolica dei giovani di Cl in qualità di oratore. Ero sicuro che, incerti tra me e lui, i ciellini avrebbero prediletto lui in virtù del suo passato e delle mie presunte (ma false) simpatie massoniche...».
E invece?
«Invece pare che non ci andrà, pare che sarà in piazza con Uòlter contro il golpe bianco».
Il senatore a vita Andreotti, che se ne intende, sostiene che il governo non avrebbe dovuto «impicciarsi». Possibile che sbagli?
«Questo mi turba profondamente, perché Andreotti non è neppure un “cattolico adulto”, come Prodi. Lui ha rapporti diretti con l’Onnipotente, mentre io sono solo un cattolico infante. Comprenderà che dinanzi a Dio non ci si può appellare neppure al Papa...».
Andreotti è certo che la Costituzione duri altri 50 anni. Ed è uno dei pochi «padri costituenti» rimasti.
«Appunto: credo che si sia talmente immedesimato con la Carta da ritenerla come se stesso, come il proprio corpo. Per questo ogni mutamento costituzionale lo vede un po’ come un’invasione nel proprio intimo».
Insomma, tra i moschettieri della vecchia Dc lei è isolato.
«Per ora siamo due a uno. Con un astenuto, Emilio Colombo».
Ma lei non scorge alcun golpe?
«Se lo vede, lei, Berlusconi a fare il golpe? Suvvia! Non ha mai neppure toccato un’arma. Io sì, so sparare, visti i trascorsi di gladiatore».
Tira anche con l’arma bianca.
«Tutto: dalla leppa, il serramanico sardo, allo Stern, al plastico».
Niente emergenza democratica.
«Macché emergenza. È il drappo agitato dall’amico Uòlter per la gente in piazza. Lui strumentalizza, così non si parla dei guai che ha in casa. Sia serio: dov’è la minaccia? Berlusconi è solo il leader di una maggioranza all’inglese...».
Secondo lei non è accaduto nulla.
«Per carità! Un putiferio, per il quale nutro un po’ di preoccupazione e il senso di colpa. Perché sono stato io a provocarlo, con la mia lunga interpellanza nella quale chiedevo l’intervento del governo con un decreto legge».
Né necessario né urgente.
«Ma se proprio in base al dettato della Cassazione quella ragazza stava per morire! E poi, sulla necessità e urgenza di un decreto, l’unico giudice è il Parlamento».
Quindi il presidente Napolitano ha sbagliato tutto.
«L’altro giorno mi sono venuti i brividi... Sa, passavo in via del Quirinale e mi sembrava di stare a Prinzalbertstrasse 27, sede dell’Ufficio di sicurezza del Reich. Poi sono sbucato nella piazza, e mi sono trovato di fronte alla Consulta, che mi sembrava il palazzo della Lubjanka... Ho dato ordine alla mia scorta di evitare accuratamente anche le zone limitrofe al Palazzaccio della Cassazione».
Torni a Napolitano, però, che ha citato anche un precedente che riguarda il suo Settennato.
«Riconosco a Giorgio Napolitano il diritto di essersi ricreduto sulla bontà dell’intervento sovietico in Ungheria, finito in bellezza con l’impiccagione di Nagy e gli altri. Consenta a me il diritto di aver mutato parere. In realtà è lui, ovvero sono i suoi consiglieri perché lui non ne mastica, a stravolgere la Costituzione: il governo vara i decreti legge sotto la propria responsabilità, il capo dello Stato li emana o li rinvia con osservazioni, ma poi è tenuto a emanarli. Il Parlamento giudica sui requisiti di necessità e urgenza. La lettera inviata al premier, poi, è stato un errore sia giuridico sia politico, perché ha suscitato la reazione d’orgoglio del Consiglio dei ministri, convincendo anche i più tiepidi».
La nostra Costituzione è sovietica, ha detto Berlusconi. Lei ne parlò in tempi non sospetti, dal Quirinale. Ancora convinto?
«Certo. Quando ne parlai io, la Dc non voleva nessun cambiamento. È un piccolo trattato di Yalta, fatto di assicurazioni e controassicurazioni: siccome non si sapeva ancora chi avrebbe vinto, De Gasperi e Togliatti si tutelavano reciprocamente. Poi si usciva dalla guerra e dalla dittatura, così la forma di governo che emerge è ancora ciellenistica. Con tante astrusità, tipo: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non sulla libertà o sugli individui, non sui lavoratori: Dossetti o Moro trovarono la formula di compromesso. Obbrobri sono il referendum, il Csm, l’indipendenza della magistratura. Un insieme che denota utopia e la scarsa esperienza di governo dei cattolici di allora».
Così Veltroni sbarra la strada di Berlusconi verso il Quirinale.


«Non essendo riuscito a entrare alla Casa Bianca, forse pensa che almeno il Colle sia destinato a lui».

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