RomaLa palma doro spetta a Giorgio Merlo del Pd, che condanna la campagna pro-dimissioni di Fini, perché «che la cosiddetta questione monegasca, per la rilevanza pubblica che ha assunto, vada chiarita sino in fondo non cè alcun dubbio», però «la questione morale non deve mai trasformarsi in una clava per abbattere gli avversari politici». Peccato che proprio Merlo, quando è toccato votare la sfiducia al sottosegretario Caliendo, ha fatto esattamente il contrario rispetto a quanto espresso su Fini, votando la sfiducia insieme al Pd (con lastensione dei finiani). È il suo, peraltro, lunico vagito circostanziato nel Pd a proposito della questione Fini-Tulliani-Montecarlo. Un pasticcio che sarebbe stato cavalcato alla grande, se ci fosse inciampato un berlusconiano, ma non nel caso di Fini, che il Pd cerca di blandire in vista di qualche tipo di accordo «istituzionale» insieme ad altri terzopolisti. I democratici si guardano bene dal pronunciarsi sulla vicenda che sta imbarazzando i finiani, e approfittano delle lotte nel Pdl per invocare un governo di transizione che possa includere Fini e Casini e metta fine alle «manganellate» nel centrodestra, come le definisce il coordinatore delle segreterie Pd Maurizio Migliavacca, «uno scontro di incredibile durezza che rischia di mettere a repentaglio la tenuta delle istituzioni stesse». Nessun accenno invece alla vicenda poco chiara che riguarda il presidente della Camera e il patrimonio immobiliare della ex An.
Diverso il caso di Emma Bonino che ammette: «Gli otto punti non mi sono sembrati solidissimi», mentre lUdc si limita a chiedere di smetterle col «massacro mediatico». Nemmeno lIdv, che pure di case se ne intende, trova alcunché di torbido nella vicenda. Il capogruppo alla Camera Donadi trova anzi non solo «apprezzabile» ma convincente la lacunosa risposta del presidente della Camera. Il dipietrista Donadi, qui in uninedita veste garantista, spiega che «latteggiamento di Fini a voler affrontare la questione in modo aperto e trasparente, è non solo apprezzabile ma è la risposta migliore a chi, in situazioni analoghe, ha sempre avuto il vizio di buttarla in politica per nascondere la verità». Tutto chiaro, nessun sospetto, neppure dai professionisti della trasparenza.
Va detto che, in casa Idv, i discepoli hanno superato il maestro. Di Pietro in verità ha spiegato, giorni fa, che forse qualche spiegazione Fini farebbe meglio a darla, perché «il fatto raccontato è un fatto che nella sua oggettività cè - ha detto Tonino in tv - e per questo il presidente della Camera la prima cosa che deve fare è mettere a disposizione di tutti i documenti che raccontano la storia. A carte scoperte vediamo da che parte sta la verità». Invece la sua fidata Silvana Mura, deputata e tesoriera Idv, non commenta la vicenda monegasca ma prende anzi a pretesto per stigmatizzare «il modo di fare giornalismo di alcune testate», invitando gli organi più vicini a Fini come FareFuturo o il Secolo dItalia a rovistare in cerca di scheletri negli armadi berlusconiani.
In realtà, dietro gli omissis, i silenzi e gli imbarazzi dellopposizione per la storia che coinvolge Fini, sta tutto il gioco per cercare di ribaltare la maggioranza. Da punti di vista molto diversi, che però convergono tutti sul fatto che Fini va contato tra gli alleati di unipotetica armata anti-Cav (per il momento molto sgangherata), e quindi non può essere attaccato. Mentre i sondaggisti prevedono in caso di elezioni una nuova vittoria di Berlusconi e Lega, lala che va dallUdc a Idv si interroga su come disarcionare lavversario, possibilmente evitando le urne. Il Pd evoca governi di transizione, ma qualche onorevole democratico alza la voce per dire che unalleanza con Udc e finiani sarebbe impossibile. Bersani non si esprime, se non con una lettera ai dirigenti romagnoli del Pd, per dire che «siamo noi il vero partito popolare». In realtà, il Pd manovra per cercare vie duscita. Gira lipotesi di una leadership di coalizione da affidare a Casini. E qui alza la voce lIdv, che rifiuta a priori una «ammucchiata».
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