Il Pd scarica subito il clone di D’Alema

Raccontano che quando Massimo D’Alema lo vide parlare per la prima volta dal palco si girò verso i suoi fra il divertito e l’indispettito: «Ma che è, uno scherzo? Mi prendete in giro?». Perché lui, Michele Mazzarano, del líder Massimo pare un imitatore, parla e si muove come lui e pure nel baffo cerca di somigliargli. Adesso che l’imprenditore Giampaolo Tarantini lo indica come beneficiario delle tangenti assieme all’ex vicepresidente della Regione Sandro Frisullo, dal dalemiano di ferro però tutti prendono le distanze. Al massimo «un pasticcione», dicono nel quartier generale del Pd pugliese. Una «macchietta», uno che «se gli hanno dato delle mazzette si son fatti prendere per il naso, perché non ha mai avuto incarichi amministrativi e al massimo può aver millantato un potere politico che però non ha, visto che noi non abbiamo mai puntato su di lui».
Del resto lo scaricabarile è sport nazionale qui da qualche tempo. Frisullo, appena finito in manette per un giro di escort, mazzette e appalti, è stato scaricato, nell’ordine, da Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani e Michele Emiliano, l’intero stato maggiore del partito, prima ancora del suo interrogatorio di garanzia, fissato per questa mattina. Con Mazzarano, il gioco a rinnegarlo era iniziato già da un po’, per l’esattezza da quando Emiliano attribuì a lui l’organizzazione della famigerata cena in cui D’Alema si trovò a contratto con Tarantini. Eppure Mazzarano, il «mister x» dei verbali della procura, nel Pd fu Ds è stato a lungo in posizioni chiave. Iscritto dal ’92, fu lui l’ultimo segretario regionale dei democratici di sinistra prima dello scioglimento del partito. Nel 2007, all’atto di costituzione del Pd ne è diventato numero due, durante la segreteria di Emiliano. Di soli tre giorni fa l’inaugurazione del suo point elettorale a Grottaglie con il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Prima che il suo nome finisse nei verbali della procura di Bari, Mazzarano era responsabile organizzativo del partito, nonché candidato alle Regionali a sostegno di Nichi Vendola. Si è dimesso ieri dall’incarico, ritirandosi dalla corsa elettorale: «Nego nel modo più fermo e risoluto di essere stato mai destinatario di tangenti da parte di chicchessia, e in particolare dal Tarantini». E però: «Nel lamentare la gravissima e irresponsabile fuga di notizie in merito a un’accusa non riscontrata dalla magistratura, non posso non vedere come la situazione rischi di penalizzare l’intero schieramento politico che sostiene il presidente Vendola e segnatamente il Pd». Dimissioni preventive insomma, che altro vuoi fare se il partito ti rinnega. Con buona pace dei giovani del Pd, che su di lui, 36 anni il prossimo 8 luglio, contavano per immettere «freschezza» nella politica e nelle istituzioni pugliesi. Esilarante, letta col senno di poi, la presentazione che l’ex candidato fa di sé sul suo sito web: «Un trentenne, figlio esemplare della terra di Taranto, vocato profondamente e dedito senza mezze misure alla Politica, intesa come momento e luogo di elaborazione del pensiero, prima, e di esercizio concreto di direzione e governo delle cose pubbliche, poi». Un «ragazzo avviatosi con il cuore gonfio di passione per gli ultimi, animato dalla ferma volontà di comprendere e abbracciare il sentire delle genti» scrivono i suoi sostenitori su Facebook.
Dicono nel Pd che «i mondi» con cui era in contatto Mazzarano erano quelli dello sviluppo produttivo, del welfare e del lavoro. Adesso sarà l’inchiesta a verificare le dichiarazioni di Tarantini: i magistrati baresi sono a caccia di conti correnti svizzeri che l’imprenditore potrebbe aver usato, come un serbatoio a fondo perduto, per elargire denaro ai politici. Di un conto elvetico aveva parlato in un interrogatorio un collaboratore di Tarantini, Alessandro Mannarini, spiegando ai magistrati di aver utilizzato, per pagare alcuni soggiorni-vacanza, una carta di credito intestata a Tarantini che riteneva legata a un conto aperto in Svizzera.

Nella stessa richiesta di arresto per Frisullo e altri, i pm Giuseppe Scelsi, Ciro Angelillis e Eugenia Pontassuglia fanno riferimento a operazioni contabili illecite che Tarantini avrebbe compiuto sui bilanci delle aziende del suo gruppo, segnalando che «l’intreccio di costi non inerenti e di operazioni spregiudicate e illecite in danno delle società peritate, oltre ad indubbi e illegittimi vantaggi economici e fiscali, abbia verosimilmente consentito la costituzione di riserve occulte di denaro».

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