Pd spaventato dal Cav «Se scende in campo può cambiare tutto»

RomaLa decisione di Silvio Berlusconi, che ha spazzato via le ipotesi di rinvio del voto regionale, ha tolto un bel peso dallo stomaco al segretario Pd. Che altrimenti si sarebbe trovato alle prese con il pasticcio di un pezzo non irrilevante della sua coalizione, i radicali, pronto a fare sponda col governo.
Di certo, la disperata corsa a ostacoli del Pdl per salvare la lista a Roma, tra decreti, ricorsi, appelli e bocciature, era manna per la campagna elettorale degli avversari. «Persino in Campania stiamo risalendo nei sondaggi», confidavano dal Pd. Ora però lo scenario potrebbe cambiare, se Silvio Berlusconi manda a quel paese gli azzeccagarbugli e cala sul tavolo delle Regionali quella Emma Bonino chiama «la carta del vittimismo».
Il premier infatti fa sapere di volerci mettere la faccia in prima persona, denunciando gli «abusi» perpetrati ai danni del Pdl, e promettendo «fuochi d’artificio» e in casa Pd ci si interroga sugli effetti di una scesa in campo berlusconiana. «Quella del perseguitato è la sua parte d’elezione, è quella che gli riesce meglio e con cui è capace di mobilitare il proprio popolo: lo fa da una vita e lo farà anche questa volta», sospira Sergio D’Antoni. Più scettico Roberto Giachetti: «Certo, è il tipo di campagna elettorale che gli rende di più, ma è un po’ tardi: doveva pensarci prima di mettere in piedi tutto quel can can inutile sulle liste».
Ma è proprio la candidata del centrosinistra per il Lazio, la radicale Bonino, che da giorni avverte che è molto presto per cantare vittoria: «Certo c’è delusione in una parte dell’elettorato Pdl, ma con Berlusconi c’è da aspettarsi qualcosa fino all’ultimo, come insegna il caso Sardegna», dove il premier ribaltò i pronostici elettorali. Anche perché «con i mezzi a disposizione che ha, può fare e disfare molte cose, e certo noi non abbiamo i suoi strumenti per entrare nelle case degli italiani». La stessa manifestazione «viola» di sabato contro il decreto, cui il Pd ha aderito (secondo alcuni dirigenti) con un po’ troppo slancio, rischia di avere effetti controproducenti, con Berlusconi in tv che grida al complotto contro le sue liste e la sinistra in piazza a celebrare l’esclusione del Pdl. E a inveire contro Giorgio Napolitano: questo è il principale incubo del gruppo dirigente democrat. Tanto che ieri Pier Luigi Bersani ha discusso a lungo, in un angolo di Montecitorio, con Tonino Di Pietro, per sondarne le intenzioni. L’ex pm, che lunedì il Pd giurava di aver «zittito», ieri ha subito ricominciato ad attaccare il capo dello Stato, reo di aver «avallato in modo intempestivo e inutile» il decreto del governo con una firma che «ne ha minato la credibilità». Toni che Di Pietro ha dovuto usare anche per arginare la concorrenza interna di Luigi De Magistris, che continua a sparare ad alzo zero, ma che certo non faranno dormire sonni tranquilli, di qui a sabato, al principale partito di opposizione, nonché partito di origine di Napolitano. E così ieri il segretario del Pd, a quanto raccontano i dipietristi, ha chiesto al leader di Idv se aveva intenzione di parlare dal podio a piazza del Popolo, e lui ha confermato. «Ho pagato io il palco, e quindi credo di avere il diritto di parlare, no?», se la rideva l’ex pm dopo il colloquio. I dirigenti Pd, invece, da quel palco preferirebbero stare lontani: l’esperienza di sabato scorso, quando in piazza del Pantheon Massimo D’Alema è stato fischiato da una parte dei manifestanti è stata indicativa, e nessuno vuol ripeterla. Ma se il leader di Italia dei valori interviene, diventa più difficile defilarsi.

Così l’idea che circola nel Pd è di dare in pasto al popolo viola la presidente dell’assemblea nazionale, Rosy Bindi, che di quelle manifestazioni è ormai un’habituée, e che è l’unica che può evitare i fischi delle platee dipietriste.

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