Politica

Il Pd va alla conta in Lazio: si sceglie il segretario ma in ballo c’è la Regione

L’esito delle primarie deciderà le candidature a governatore e sindaco Favorito l’uomo di Bersani, l’ex dc Gasbarra. Dietro Bachelet e Leonori

Roma - Dopo la botta di Genova e alla vigilia di un altro appuntamento ad alto rischio a Palermo, meno gente vota alle primarie meglio è per il Pd.
Così ieri i dirigenti laziali sembravano più rassicurati che rattristati dall’afflusso non travolgente alle urne per scegliere il segretario regionale: alle 18 si parlava di 35mila votanti a Roma e di 92mila nell’intera regione. Nel 2009 i partecipanti furono 150mila, ma c’era l’effetto trascinamento del candidato premier, Walter Veltroni. «Più voto di apparato che popolare, quindi meno rischio di sorprese», dicevano ieri al Nazareno. Soprattutto, meno rischi per il candidato ufficiale appoggiato da Pier Luigi Bersani e da tutti i big, Enrico Gasbarra.

Le urne hanno chiuso alle 20, i risultati ufficiali arriveranno solo mercoledì, ma le prime proiezioni danno Gasbarra favorito. Primarie tutte interne al Pd, quelle del Lazio, visto che in ballo c’è una carica di partito e non pubblica. Se le sarebbero risparmiate volentieri, perché finalmente dopo mesi di faide (da più di un anno il Pd laziale è commissariato e affidato al «tecnico» Vannino Chiti, vicepresidente del Senato) i principali capicorrente si erano messi d’accordo sul designato, il deputato ed ex presidente della Provincia di Roma Gasbarra. Un «giovane», secondo i canoni della politica italiana, visto che non ha ancora compiuto i 50. Ma un giovane navigatissimo, che ha debuttato nella Dc degli anni ’80, sotto l’ala protettiva dell’andreottiano Vittorio Sbardella.
A rompere il gentlemen’s agreement, a novembre, è stato Giovanni Bachelet che - denunciando la «scelta dall’alto» del segretario - ha chiesto le primarie, e si è candidato convincendo la sua capocorrente, Rosy Bindi, a sostenerlo. Un modo per contarsi e contare poi nelle future distribuzioni di posti e di candidature. A quel punto è spuntato anche il terzo incomodo, la trentenne Marta Leonori (segretaria della Fondazione Italianieuropei), appoggiata dalla sinistra che fa capo a Ignazio Marino e da un pezzo di dalemiani (Sposetti, Tocci, Cuperlo), e piazzatasi seconda surclassando Bachelet nella consultazione tra gli iscritti che ha preceduto le primarie.

Su Gasbarra, invece, convergono veltroniani e dalemiani, Bersani e Franceschini, Fioroni e Bettini. E soprattutto Nicola Zingaretti, che a Roma ha l’ultima parola, essendo il futuro candidato sindaco della Capitale, e con ottime chance visto che - secondo la battuta attribuita a Giorgia Meloni (che la ha ovviamente smentita) - «dopo Alemanno il centrodestra non vince a Roma neanche con Gesù Cristo».

L’elezione di Gasbarra serve infatti a blindare il futuro ticket amministrativo: l’ex Ds Zingaretti al Campidoglio, l’ex Dc alla Regione, candidato contro la Polverini nel 2014. La Provincia, si spera, dovrebbe nel frattempo finalmente scomparire. Non a caso, ieri, i più mobilitati a sostegno di Gasbarra erano i dirigenti ex Ppi del Lazio, organizzatissimi a portare le «truppe» a votare con appositi pulmini e a fornire i due euro di quota. Un po’ per mettere il proprio timbro su Gasbarra, e un po’ per vincere la guerra delle preferenze (al candidato segretario sono abbinate le liste per l’assemblea regionale Pd) e preparare la futura corsa alle candidature «vere» per Comune e Regione. «In questo - ammette un dirigente di provenienza Ds - i post Dc sono molto più bravi di noi. Senza contare che per la sinistra è faticoso entusiasmarsi per un ex andreottiano».

Il quale negli ultimi mesi, da deputato Pd, si è messo sotto l’ala di Peppe Fioroni e si è spesso ritagliato un profilo da fervente cattolico sui temi cari alle gerarchie vaticane, a cominciare dal testamento biologico. Con qualche puntata sul pacifismo cristiano, come il dissenso sulla missione in Libia. Tutte fieno messo in cascina, da tirar fuori quando si tratterà di correre per l’ambita poltrona di governatore.

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