Roma - Sudore e lacrime in abbondanza sulla faccia di Francesco Rutelli, riacclamato presidente di un partito che si sta per sciogliere. Il sangue invece lo porta Franco Marini, ed è quello degli ex nemici di un tempo: «Se nel 1958, quando ero dirigente della Cisl marsicana, mi avessero detto che un giorno sarei stato nello stesso partito di quelli della Cgil, sarei andato a sbattere con la moto. Eppure è successo, e per una ragione precisa, perché il comunismo organizzato è stato sconfitto dalla storia». Così, tanto per chiarire chi ha vinto e chi ha perso nella fusione. Ma nello Studio 5 di Cinecittà c’è pure qualche sorriso. Quello disteso di Rutelli, che ha scansato le ultime trappole interne e ha mantenuto il timone dei Dl. E quello, più mesto, di Piero Fassino: «Siamo in totale sintonia».
Le note di One degli U2. Le parole di don Sturzo, sulla «politica come dovere e speranza». Le mani di Rutelli e di Fassino, alzate e unite come quelle di due pugili che se le sono appena date di santa ragione. La defezione silenziosa di Arturo Parisi, che ha prodotto solo un no e un’astensione alla mozione dell’ex sindaco di Roma. I coriandoli, i palloncini, le magliette blu. E il discorso a braccio del presidente della Margherita: «Noi, voi... ma adesso siamo insieme - dice rivolto al segretario della Quercia -. Siamo arrivati al traguardo, siamo lo stesso partito, la stessa squadra, abbiamo le stesse priorità e le stesse passioni. C’è un’unità vera, non solo tattica. Faremo grandi cose».
Intanto però c’è un problema non da poco: chi avrà le chiavi del Partito democratico? Rutelli preferisce accantonare il problema. «Io, Piero, Massimo, Walter. Verrà il momento per la sfida sulla leadership e sarà un momento vitale, uno dei passaggi-chiave per dire che il nostro è davvero un partito democratico. Ma per favore non viviamo in attesa di questa sfida. Bando ai personalismi, il Pd non sarà l’esile strumento di una guerra tra capi, costruiamo insieme l’approdo comune». Certo, ammette, le differenze restano, non solo con i Ds, ma anche all’interno della Margherita: mentre i giovani Dl hanno approvato un ordine del giorno a favore dei Dico, il gruppo teo-dem ne ha proposto un altro per sostenere il family-day. Però, spiega Rutelli, non sono contrasti ma «arricchimenti». «Per noi i diritti delle famiglie e degli individui, soprattutto i più deboli, sono al centro della nostra politica».
Quanto al Pse, niente da fare. «Con il passare del tempo anche i Ds capiranno e ringrazieranno la Margherita di aver voluto orizzonti più larghi. Il socialismo - prosegue il leader Dl mentre in sala Fassino annuisce vistosamente - è un riferimento indispensabile. Ma non basta. Per fortuna non è come dice Rasmussen, in Europa non ci sono soltanto la sinistra e la destra. Altrimenti ci fermeremmo al 28 per cento. Il Pci e i Ds si sono avvicinati progressivamente alla socialdemocrazia essendone convinti e lo saranno di più nell’arrivare a un obbiettivo più largo». Intanto però «possiamo anche chiamarci compagni: è una bella parola, viene da cum panis, è citata almeno cento volte dalla Sacre Scritture».
Festa grande a Cinecittà, ma tocca a Franco Marini, detentore del pacchetto di maggioranza dei Dl, disegnare il perimetro politico dell’alleanza. Una fusione, ripete, che è avvenuta perché «il comunismo è stato battuto» e perché gli ex popolari l’hanno voluta. Parisi sbaglia se rivendica primazie. «Non ha senso ripercorrere le responsabilità di chi ha frenato. E badate, non parlo di me, perché se io freno freno bene e diventa difficile andare avanti». Meglio guardare al futuro.
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