Il Pdl avverte i frondisti: «No a gruppi autonomi in Aula»

RomaL’Ufficio di presidenza del Pdl di ieri il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, l’ha spiegato «saccheggiando» la storia della Dc. «È come un vecchio “caminetto” della Camilluccia nel quale Fanfani minacciò di andarsene. Tutti i big lo sostennero e lui ci ripensò. Ora bisogna vedere cosa deciderà Fini».
Certo, a guardare l’effettiva consistenza delle truppe in Parlamento, il presidente della Camera ci starà pensando su. E, infatti, chi si aspettava fuoco e fiamme dalla riunione dell’organo statutario del Pdl non è stato accontentato. Non sono stati accontentati i berlusconiani «duri e puri» che ieri mattina pensavano di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del co-fondatore. Ipotesi tramontata per non inasprire ulteriormente i rapporti.
Ridimensionati anche i «finiani» che avevano finalmente le luci della ribalta su di loro e non sono usciti dall’angolo degli stereotipi degli ultimi mesi tra i quali domina il leitmotiv del «Pdl troppo schiacciato sulla Lega».
Alla fine spicca ancor di più la figura di Silvio Berlusconi, al quale non si può certo rimproverare l’immobilismo: ha riunito l’ufficio di presidenza e ha ribadito la convocazione della direzione nazionale di giovedì prossimo, mostrando sostanzialmente disponibilità al confronto. La verità è che alla base di tutto «non c’è un problema politico», ha ribadito il premier ai 36 componenti riuniti a Palazzo Grazioli. «Non sono succube di Bossi, i progetti di riforma non sono nati in riunioni conviviali con la Lega, ho fatto campagna elettorale e se Fini vuole può tornare a occuparsi del partito», ha spiegato aprendo la riunione e sottolineando tra il serio e il faceto che se Fini vuol contare di più «c’è il posto di La Russa» come coordinatore. Anzi, Berlusconi ha difeso le scelte democratiche del partito e dei suoi gruppi parlamentari: «Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri, ma è stato eletto dai senatori e questa è democrazia».
Insomma, ha precisato il Cavaliere, «è Fini che dice sempre il contrario di quello che dico io e la Bongiorno in commissione Giustizia alla Camera che crea problemi». Sottoposta ai presenti la richiesta al co-fondatore di non creare un gruppo autonomo (mozione che sarà approvata all’unanimità), il presidente del Consiglio ha assolto pienamente al suo ruolo. Il gruppo dei finiani, guidato dal vicecapogruppo alla Camera, Italo Bocchino, affiancato da Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pasquale Viespoli, avrebbe potuto controbattere. Ma è rimasto sul vago. «Fini e Berlusconi devono trovare un accordo», «occupiamoci del Sud», «basta con gli attacchi del Giornale». Niente che i diretti interessati non avessero già sentito.
«Non deve essere Berlusconi a dover dare la soluzione ma come ha detto è disponibile al dialogo politico su tutti i temi», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, lasciando Palazzo Grazioli. «Nessuno vuol credere a una rottura che sarebbe la morte del Pdl e un danno grave all’immagine internazionale dell’Italia», ha aggiunto preannunciando la stesura di un documento da presentare alla direzione di giovedì. «Non è vero che la Lega detta l’agenda del governo», ha concluso riaffermando che la sortita di Calderoli al Quirinale è stata «un’iniziativa personale». Applauditissimo il ministro dello Sviluppo Scajola. «La questione è da chiudere in una maniera o nell’altra: già con la storia del tridente nello scorso governo ci siamo impantanati. Ora deve prevalere la volontà di governare e non quella di stare al governo», ha chiosato.
Ecco, il sospetto che non sia solo un dissenso «ideologico» è balenato in più d’uno e non solo negli ex azzurri. «Non è vero che il partito non è democratico. Alle Regionali Berlusconi non voleva accordi con l’Udc, ma si è convinto. Se invece il problema sono i posti, faccio un passo indietro», ha osservato il capogruppo Gasparri. C’è pure chi come il sottosegretario Mantovano è rimasto deluso dall’editoriale del Secolo che sminuiva «la straordinaria lotta del governo nei confronti della mafia».


Insomma, la maggior parte degli uomini del Pdl che arrivano da An non si vergognano affatto di avere la Lega come alleato. «C’è tempo fino a lunedì o martedì», ha concluso il coordinatore Ignazio La Russa. La prossima mossa tocca a Fini. Non è detto che non sia un arrocco.

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