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Il Pdl dei feudi: un fiume che si divide in mille rivoli

La mappa delle forze interne: dai malpancisti agli iperlealisti, dagli aennini berlusconidi ai filoleghisti

Roma Vade retro correntismo ma, nel grande spartiacque degli ex (ex An ed ex Fi) il Pdl si scopre un fiume stracolmo di affluenti. Se n’è accorto pure Berlusconi, sovente alle prese con rivoli che non marciano nella stessa direzione. Il torrente più impetuoso e insidioso è quello dei finiani e dei farefuturisti: quelli che ragionano al post Berlusconi, denunciano il partito caserma, si smarcano su temi etici, cittadinanza, immigrazione, diritti civili, sognano la leadership del presidente della Camera, detestano la Lega. Dotati di una costola laica rappresentata dall’ex radicale Benedetto Della Vedova, hanno in Italo Bocchino, Adolfo Urso, Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Pippo Scalia, Nino Lo Presti e Flavia Perina i loro agenti più compatti. I postberlusconidi si definiscono anche postideologici, modernisti, legalisti e si riconoscono nella lobby culturale di Farefuturo. Tutti ex aennini come gli alemanniani, rivolo che fa riferimento al sindaco di Roma, vassallo che ha il proprio feudo in Lazio ma non solo. Loro sono i bismarckiani, gli antimercato per eccellenza, i campioni del sociale, i paladini della destra popolare ma cattolica. Vicini alle tesi di Fini su ronde e immigrati, se ne distanziano sulle questioni bioetiche. Fanno parte della truppa Alfredo Mantovano, Barbara Saltamartini ma soprattutto Francesco Biava: il plenipotenziario che lavora per estendere il potere di Alemanno oltre i confini laziali. Il sindaco di Roma, infatti, ha i suoi uomini fidati anche in Piemonte (Gianluca Vignale) e in Toscana (Diego Petrucci).
Nella grande famiglia degli ex fiamma ci sono poi gli aennini berlusconidi: quelli che, come Ignazio La Russa (grande mediatore tra i finiani e i berluscones), Maurizio Gasparri, Altero Matteoli e Giorgia Meloni dimostrano fedeltà al capo e alla sua linea.
Nutrita la schiera degli iperlealisti, i più devoti al Cavaliere, sostenitori senza se e senza ma delle scelte del leader, predellinisti, garantisti e visceralmente antisinistra. Hanno in Sandro Bondi, Franco Frattini, Claudio Scajola, Angelino Alfano, Gaetano Quagliariello, Isabella Bertolini, Giorgio Stracquadanio e Osvaldo Napoli le proprie punte di diamante e tra gli ex socialisti (Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta) altri fidati supporter. Guida i movimentisti, Mario Valducci, instancabile calamita che lavora per intercettare giovani e neo adepti. Chi s’è creato un vero e proprio feudo, specie in Lombardia, è il potente governatore Roberto Formigoni, esponente di spicco di Cl, ipercattolico, perenne emergente come i deputati Maurizio Lupi e Guido Crosetto e che, nella visione da derby azzurro Milano-Roma, è la corazzata nordica assieme al sindaco meneghino Letizia Moratti.
Già, il territorio: spesso è lì che si creano appetiti, si formano centri di comando, si scontrano ambizioni di egemonia locale con cordate, sodalizi e alleanze. Si prenda la Sardegna, teatro di scontro tra i «nuragici» e i «cappellacciani»: i primi, guidati da Beppe Pisanu, Mauro Pili, Piergiorgio Massidda, Salvatore Cicu ed Emilio Floris hanno preso a contestare la gestione romanocentrica del partito del governatore sardo. In quel caso, a difesa di Cappellacci, Berlusconi era dovuto perfino scendere in campo: «Intervengo io...». Più o meno lo stesso andazzo in Sicilia, dove le dispute si giocano campanilisticamente: gli agrigentini contro i catanesi, i palermitani contro i siracusani e così via. È nota sia la parabola dell’astro cadente Gianfranco Miccichè, arginato dai conterranei Renato Schifani, Angelino Alfano e Diego Cammarata, sia la posizione filoribellista della ministra Stefania Prestigiacomo.
E che dire della Puglia, dove la fanno da padroni i «tavolieristi» di Raffaele Fitto, giovane emergente che ha negli ex democristiani della Regione il suo fulcro di potere. È lui che ha «imposto» la candidatura a governatore di Rocco Palese, intercetta voti centristi e fa da argine ai potentati ex missini, sempre forti in zona.

E poi i filoleghisti Giulio Tremonti, Aldo Brancher, Antonio Iannone, Luigi Casero: quelli dell’asse con Bossi e del federalismo spinto, guardati di traverso soprattutto dai finiani. Un dedalo, insomma, che rischia di aumentare la portata d’acqua del rivolo dei malpancisti. Sì, ci sono anche loro: Antonio Martino, Beppe Pisanu e Gaetano Pecorella.

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