Occhi aperti, dentro e fuori dai seggi. E soprattutto durante le operazioni di spoglio per evitare il rischio brogli. La battaglia elettorale si combatte voto su voto soprattutto dopo la chiusura delle urne. E nelle quattro, cinque grandi regioni in bilico secondo gli ultimi sondaggi di 15 giorni fa, Piemonte, Liguria, Lazio, Campania e Puglia, la vigilanza sarà ancora più alta. L’esercito del «difensori del voto» del Pdl, istituito nel 2006 dal sottosegretario alle Infrastrutture Mario Mantovani è ormai una realtà consolidata. A questa tornata elettorale può contare su 60mila rappresentanti di lista, preparati e agguerriti. In Puglia e in Piemonte saranno 5mila, nel Lazio 5.500, in Liguria 2mila. Allarme rosso anche in Campania, dove il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica ha lanciato l’allarme brogli e ha parlato espressamente di «pressioni su candidati ed elettori» e dove «nel 2006 - dice Mantovani - quando Prodi vinse per meno di 30mila voti si registrarono un numero impressionante di anomalie».
I «difensori del voto» sono a tutti gli effetti dei pubblici ufficiali e hanno una serie di diritti e doveri sulla vigilanza delle schede durante lo spoglio e possono pretendere la verbalizzazione di tutte le contestazioni, come prevede l’articolo 54 del Dpr 570/60. Ogni contestazione verrà poi riesaminata dall’ufficio centrale circoscrizionale a cui spetterà il compito di assegnare definitivamente il voto.
Il «pericolo» di queste Regionali è la genuina interpretazione del voto e soprattutto la famigerata «tratta delle schede bianche». Come l’ex Pci Claudio Velardi ammise in un libro di qualche anno fa, nella scuola di Botteghe Oscure negli anni Sessanta si tenevano vere e proprie «lezioni» di brogli. «Correva l’anno 1972 - si legge a pagina 169 del libro L’anno che doveva cambiare l’Italia - conclusa l’assemblea ufficiale, ebbi anche il battesimo del fuoco. Il compagno Rubino, anziano militante della sezione 1° maggio, mi avviò al master in militanza mettendomi uno spezzone di matita tra il medio e l’anulare. Lo avrei utilizzato alla prima scheda bianca intercettata».
Ecco perché è importante che i rappresentanti di lista pretendano il rispetto di due semplici regole previste dalla legge: l’estrazione delle schede una alla volta da parte del presidente di seggio e l’«annullamento» di ogni scheda bianca estratta con timbro e firma.
Ma è sull’interpretazione del voto che ogni regione ha la sua pena. Nel Lazio i «gladiatori della libertà» dovranno combattere la battaglia più difficile. Sulla scheda elettorale di Roma e provincia il simbolo Pdl sulla scheda non c’è. Per esempio molti elettori potrebbero votare la lista di Renata Polverini ma dare una preferenza a un big Pdl escluso dal voto, o anche al premier Silvio Berlusconi. Un «errore» figlio di una prevedibile confusione tra gli elettori che potrebbe ingenerare una mole impressionante di voti apparentemente nulli. E invece quei voti sono validi, sebbene solo per la candidata presidente. «Le regole sono chiare - dice al Giornale Mantovani - si ha nullità di voto quando la scheda pur essendo stata votata presenta irregolarità tali da rendere nulla l’espressione di voto». E dunque segni e scritture particolari o voti espressi con strumenti diversi dalla matita copiatrice fornita dall’Ufficio elettorale, o più in generale quando «non è desumibile la volontà dell’elettore». «I nostri rappresentanti sono stati formati e sono agguerriti. Sarà difficile tenere loro testa».
Secondo i parlamentari Pdl Stefano De Lillo e Ignazio Abrignani «l’espressione del voto del cittadino è prevalente su tutto, come dice la Costituzione». «È giusto far valere il principio del “favor voti”», ha detto il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto, che invoca anche «la sentenza n° 109 del Consiglio di Stato nel 2006».
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