Roma - «Vattene per favore, non ti voglio nemmeno vedere...». A microfoni ormai spenti, Berlusconi liquida così l’ex alleato che da sotto al palco gli chiede con insistenza se lo voglia «cacciare via». Una battuta che fotografa una rottura ormai insanabile. Tanto che durante la sospensione dei lavori, chiuso in una saletta dell’Auditorium della Conciliazione con i tre coordinatori, il Cavaliere lo dice chiaro e tondo: «Ormai ci ho messo una pietra sopra, da oggi di Fini parlerò solo al passato».
Dopo mesi e mesi di tira e molla, insomma, va finalmente in scena l’ultimo atto di un’alleanza politica durata quindici anni. O forse il penultimo, perché ora ci sarà da capire come e quando si formalizzerà una rottura che potrebbe avere anche tempi lunghi. Rottura politica ovviamente, visto che quella personale è ormai stata metabolizzata da tempo da entrambe. Ed è anche per questo che a sera, chiuso a Palazzo Grazioli, Berlusconi dice ai suoi collaboratori che «almeno è stato il giorno della chiarezza». Certo, c’è un po’ d’amarezza per i toni e i gesti, per quel faccia a faccia rimbalzato sulle televisioni italiane e straniere che «avremmo fatto bene a evitarci». Ma, aggiunge il premier, «dopo un intervento come quello di Fini, guidato dall’astio personale più che dalle ragioni della politica, non potevo certo stare zitto».
Anche perché, è il senso dei ragionamenti del Cavaliere, non si può ripetere un’altra volta l’errore del 2006. Berlusconi, dunque, non è intenzionato a farsi «cuocere a fuoco lento» come accadde con la discontinuità di Follini. Ed è per questo che decide di affondare i colpi e non lasciare margini d’incertezza. Non solo a parole, ma anche con una mozione che difficilmente avrebbe potuto essere più dura su cui si dissociano solo in undici (il 6,39% del Pdl). Un documento nel quale si dice chiaro e tondo che va bene in dibattito interno, ma che dopo che una decisione è stata presa a maggioranza acquista carattere vincolante per chiunque faccia parte del Pdl, sia che l’abbia condivisa sia che si sia espresso in dissenso. Una sorta di clausola anti-finiani, visto che - ripete ai suoi il Cavaliere - non è possibile che si ripeta lo spettacolo dato in tv da Bocchino, Urso e Raisi (i tre sono a rischio sanzioni da parte dei probiviri del partito).
Berlusconi, insomma, è intenzionato a battere il ferro finché è caldo, anche perché Fini gli ha mandato a dire chiaro e tondo che lo aspetta «alla Camera». «Che fosse pronto alla guerriglia parlamentare - è stata la chiosa del premier - non avevo alcun dubbio». Il punto è che secondo il Cavaliere la direzione di ieri cambia decisamente gli equilibri interni al partito. Perché, ripete con i suoi (indiscrezioni smentite in serata dallo stesso premier), ora «Fini vale il 6% e niente di più». Quindi anche il 6% dei posti. Per questo, dice, dovrebbe essere lui a pensare se lasciare la presidenza della Camera visto che non rappresenta più una maggioranza. Di certo, invece, per quanto riguarda la sua permanenza del Pdl l’intenzione è far valere alla prima occasione la cosiddetta clausola antifiniani, che permette di prendere sanzioni. Intanto, vista la minacciata guerriglia, Berlusconi ha già sul tavolo alcune contromosse per ridurre il peso dei finiani sulle poltrone che contano. D’altra parte - è il senso del suo ragionamento - ora conta quanto la DcA di Rotondi. Così, è molto probabile una mozione di sfiducia del gruppo parlamentare della Camera contro il vicevicario Bocchino.
Come è probabile che a Urso vengano tolte le deleghe di viceministro allo Sviluppo economiche (il rango, infatti, è quello di sottosegretario). Senza considerare, poi, che a breve scadono le presidenze di tutte le commissioni parlamentari e il rinnovo delle presidenze ai cosiddetti finiani è ovviamente tutt’altro che scontato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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