Pecoraro Scanio, il verde che non distingue un toro da una mucca

La foto regina di Alfonso Pecoraro Scanio lo ritrae nel maggio 2006 ai funerali dei morti di Nassirya. Mentre le autorità fanno il viso di circostanza, il leader dei Verdi ride divertito. Con la linguetta fuori rivolta all’insù, sta dicendo qualcosa di irresistibilmente comico a Vasco Errani (presidente ds dell’Emilia Romagna) che abbranca per le spalle con fare cameratesco. Pecoraro ha i capelli ricciuti, un bel viso mediterraneo e una calda cordialità partenopea. Si rivela per quello che è: uno scugnizzo di 47 anni, pieno di baldanza e vigore. La foto meriterebbe di essere il suo ritratto ufficiale per l’immediatezza con cui ne rivela la natura esuberante. Malauguratamente, è stata scattata in un momento infelice. Così, la grazia dell’immagine è rimasta soffocata dallo sdegno per il ghigno di troppo. Poiché i Verdi avevano dichiarato che si univano al «dolore che accomuna il Paese», i giornali hanno pubblicato l’istantanea titolando beffardi: «Eccolo l’accomunato nel dolore!». Per un attimo, è sembrato che la fortunata carriera dell’ecologista traballasse. Ma in pochi giorni, il nostro Alfonso è tornato in auge. Prodi lo ha nominato ministro dell’Ambiente e la sua piccante linguetta è finita nel dimenticatoio. Così, ci è stato restituito intatto un pittoresco personaggio.
Alfonso non è cattivo, ma è la quintessenza dell’inutilità. Un peso piuma che, vista la giovane età, volteggerà per decenni. Pecoraro è l’ecologista tipo. Dice no a tutto, in nome di pericoli indimostrati e contraddetti da chiunque si occupi scientificamente delle cose di cui lui parla en amateur. È il campione italiano di quel passaparola del pregiudizio che è l’ambientalismo delle signorine bene, degli amici del nibbio, del panda, dell’asfodelo cerasifer, dei seguaci del sole, del vento e delle piogge di maggio. È contro il nucleare, le autostrade, i tunnel, le antenne tv. Detesta i pali elettrici, gli Ogm, il Dash. Vede ovunque effetto serra, buchi dell’ozono, elettrosmog. La sola plastica che tollera è quella dei preservativi in favore dei quali ha fatto una campagna per dimezzarne il prezzo e distribuirli gratis nelle scuole. Si batte per i prodotti biologici e i cibi genuini. La pannocchia è sacra e qualsivoglia sua manipolazione, ibridazione o clonazione lo inorridiscono. È invece aperto in fatto di bambini. Gli stanno bene in vitro, geneticamente modificati, in laboratorio, in serie. È, insomma, un tipo filosoficamente confuso. Ma poiché nemmeno lui pretende di passare per un pensatore, la cosa gli va senz’altro perdonata.
L’ambizione di Alfonso è tutta tesa alla politica. I giornalisti lo amano per la sua simpatica disponibilità. Risponde personalmente al cellulare anche ora che è ministro. È sempre pronto a fare dichiarazioni, dare interviste, presentarsi in tv anche solo come tappabuchi. La prestigiosa agenzia Ansa ci comunica sue notizie un paio di volte il giorno, ogni giorno dell’anno, Ferragosto compreso. È lui a farsi vivo col redattore di turno al quale chiede: «Che c’è di rilevante oggi?». Le risposte sono ovviamente le più varie. «È crollato un palazzo». «Nato elefante con due proboscidi». «Prodi ha forato sullo Stelvio». Su queste esili basi, Pecoraro confeziona, con fulminea ispirazione, la dichiarazione più confacente alla notizia del giorno e alla sua battaglia ideale. Attribuisce la rovina del palazzo all’assenza di un Piano geologico nazionale, la doppia proboscide agli effetti nefasti degli Ogm coltivati dalle multinazionali nel Punjab, la foratura di Prodi al pungiglione di un calabrone depresso per i gas tossici.
La prontezza dei riflessi di Alfonso non è che un risvolto della sua piedigrottesca fantasia. Una volta fece annunciare che si sarebbe incatenato al Municipio di Napoli (la città dove vive) fino alla soluzione dei problemi napoletani. Ma, fatti meglio i calcoli, capì che sarebbe dovuto rimanerci per l’eternità lasciando insepolte anche le ossa e fece smentire la notizia attribuendola a uno scherzo. Dette poi il meglio di sé nel breve lasso in cui fu ministro dell’Agricoltura di Giuliano Amato, nel 2000. Giunto al ministero, ordinò la sostituzione di tutte le lampadine tradizionali con lampade fluorescenti a basso consumo. Il lucore bianco-latte che avvolse il palazzo dette ai burocrati la bucolica sensazione di lavorare in un caseificio e al ministro il destro per muggire soddisfatto: «Ho fatto risparmiare milioni allo Stato». Fu una memorabile stagione di incessanti iniziative. Alfonso propose di proclamare la pizza «patrimonio dell’umanità», suggerì di adottare in blocco le pecore sarde per proteggerle dall’estinzione, fece una campagna contro l’albero di Natale per salvare gli abeti e rilanciare il presepe napoletano, nominò il cantante partenopeo Gigi D’Alessio patrono del pesce azzurro e invitò il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, noto per il pollice verde, a fare il testimonial della floricoltura italiana e risolvere così il conflitto di interessi. Fu, come si vede, un momento d’oro per agricoltura, zootecnia e piscicoltura nazionali. In tanto fervore, passò quasi inosservata la sola lieve gaffe del georgico ministro. Ospite in una stalla modello, si arrestò davanti a un toro e disse: «Bella mucca». Con tatto, gli fu chiarito lo scambio di bovino. «Non sono andato a guardare sotto al toro», replicò piccato il ministro.
Una certa ignoranza animal-naturalistica si spiega con la circostanza che il leader ecologista è giunto all’ambientalismo in un secondo momento. Il suo primo impegno è stato infatti nel partito radicale. Alfonso è nato a Salerno. Ha un fratello e una sorella minori. Il padre è avvocato. Debuttò in politica a 17 anni, al liceo «Torquato Tasso», fondando una cellula radicale. Quando a metà degli anni ’80, Pannella decise di sciogliere il Pr e clonare i suoi aderenti negli altri partiti, fu la diaspora. Giovanni Negri finì nel Psdi, Ciccio Rutelli nei Verdi Arcobaleno, gli altri qua e là. Alfonsino fu anche lui catapultato tra i Verdi, ma quelli del Sole che ride, i più longevi.
Il suo stile politico fu subito partenopeo e vetero dc, stretto parente del demitian-mastellismo. Pecoraro si è sempre circondato di brigate di fedelissimi, dette truppe mastellate (dall’inarrivabile inventore del sistema, Clemente Mastella). Coetanei, simili nel vestire e nell’aspetto: abito scuro, piglio sicuro, capigliatura ricciutella, modi spicci. Un’équipe di luogotenenti che è alla base del potere di Alfonso. I giovanotti gli garantiscono i voti nei congressi e vegliano che nel partito e fuori ci sia obbedienza verso il capo. Se qualcuno si allontana o polemizza, arriva uno di loro e chiede spiegazioni. Chi scrive ha tentato di parlare con un dissidente. Ma quello si è negato: molto, ma molto, intimorito. Forte di questa milizia e ricco della sua verve, Alfonsino ha sbaragliato. Oggi è il capataz dei Verdi. I vecchi che lo hanno contrastato, sono spazzati via: i Manconi, Mattioli, Scalia, Ripa di Meana, ecc. Chi è rimasto neutrale, come il saggio Marco Boato, mantiene il suo posto di parlamentare. Chi gli è soggetto o amico, come Grazia Francescato, è vicepresidente di «Bagnoli Futura», azienda di bonifica dell’ex area industriale napoletana.
Dopo la laurea in Legge, Alfonso, a 33 anni, fu eletto deputato. Divenne giustizialista e fan del pm Di Pietro. Per festeggiare l’anniversario di Tangentopoli portò alla Camera una torta con i ferri da carcerato per ciliegina. Pannella, irato col suo ex, cominciò a chiamarlo: «Mister Manette». Dal ’92 è stato sempre rieletto nella sua circoscrizione napoletana. È perciò tra i politici campani più in vista. Proprio per sottolineare il peso politico locale, si è fatto costantemente ritrarre dalle tv alle spalle di Prodi nel recente ritiro del governo a Caserta. È certamente un paradosso che il numero uno dell’ambientalismo sia uno dei maggiorenti della più inquinata Regione dell’Occidente e conviva col degrado più selvatico. A Pecoraro gli fa un piffero che i rifiuti sommergano da decenni Napoli e dintorni. Però si indigna se in Val di Susa (Piemonte) si scava una galleria per il treno veloce e si straccia le vesti se nei vigneti dell’Oltrepò si sparge il verderame. Questo, poffarbacco, è mancanza del comune senso del pudore.
L’improntitudine è, infatti, uno dei marchi del giovane ministro. È stato simpaticamente sfacciato quando si è confessato bisex alla vigilia del Gay pride del Giubileo del 2000. «Sono meridionale e mediterraneo, credo che la vita vada goduta fino in fondo». Questa la premessa filosofica, poi l’outing: «Non sono né etero, né omo. Scelgo l’assoluta libertà sessuale». Ha infatti avuto fidanzate e fidanzati. La dichiarazione ha messo nei guai i pupilli che piazza nei vari posti di sottogoverno campano e nazionale. Evito di fare nomi, ma ognuno di loro, vero o falso, è percepito come un amasio del ministro e accolto con risolini dai sottoposti. Alfonso ha comunque dichiarato che, se si sposerà, «sarà con una donna, perché sono cattolico».
Più sfrontato invece il gesto di piazzare in politica il fratello calciatore. Marco, minore di tre anni, è oggi fresco senatore verde. Il giovanotto, riccio come il germano, è stato colonna dell’Ancona, Cagliari, Genoa e Lecce. Appese le scarpette nel 1995, Marco si è chiesto: «E ora?». Per la vita civile non era, forse, particolarmente attrezzato (si presenta come «consulente»). Così, il fratello decano gli ha detto: «Ci penso io» e lo ha rispedito a Ancona a farsi le ossa come assessore allo Sport.

Gli ha fatto proseguire la gavetta a Salerno da consigliere provinciale. Infine, lo ha candidato nel suo stesso giro napoletano, imponendone l’elezione a Palazzo Madama.
Un’operazione appena appena più complessa di quella con cui Caligola fece senatore il suo cavallo.

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