Pedofilia Il vescovo: «Su don Conti c’era poco, per questo non avvertii il Vaticano»

Almeno dieci persone si rivolsero a monsignor Gino Reali per segnalare «comportamenti anomali» di don Ruggero Conti, il sacerdote sotto processo con l’accusa di aver abusato di giovani parrocchiani quando guidava la chiesa della Natività di Santa Maria Santissima. La testimonianza era necessaria per il pm Francesco Scavo per capire come mai il vescovo della diocesi di Porto Santa Rufina non avesse disposto il trasferimento del parroco e non avesse dato il giusto peso a queste segnalazioni, alcune delle quali provenienti da ragazzi oggetto delle attenzioni del prete. Prima di Reali, era toccato a don Claudio Brichetto, vicario per appena un anno nella stessa parrocchia, spiegare in aula i pessimi rapporti con don Conti che, a suo dire, lo «mobbizzava», apostrofandolo, anche in presenza di altri, con espressioni irriguardose. Don Claudio, che vide il parroco in atteggiamenti «non consoni» con alcuni fedeli, denunciò tutto ai carabinieri dando il via al procedimento penale. Poi è stata la volta del monsignore che firmò il trasferimento di Brichetto: «Non ho informato il Vaticano e la Congregazione per la dottrina della fede su don Conti - ha detto Reali - perchè non ritenevo sufficienti gli elementi raccolti e non ho denunciato i fatti all’autorità giudiziaria italiana perché non conoscevo l’iter da seguire. Conobbi don Ruggero nel 2000 quando mi insediai. Fu lui stesso nel 2006 a dirmi che giravano voci sul suo conto in merito ad un presunto suo comportamento non corretto verso i ragazzi. Negò che fosse vero, disse che era una lettura malevola dei suoi atteggiamenti espansivi e che aveva l’impressione che tali voci fossero coordinate da don Claudio». Reali incontrò don Claudio tre volte: «Le sue affermazioni non mi sembravano affidabili. Non gli ho creduto».

Poi il monsignore ha riferito delle diverse segnalazioni e di come avesse consigliato alle presunte vittime di abusi di scrivere tali circostanze e anche di fare denuncia alla magistratura, pur ritenendo «che avessero avuto una rilettura di quanto loro accaduto alla luce delle voci che circolavano».

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