Il pendolo di D’Alema garantista a fasi alterne

Scottato dalla diffusione delle imbarazzanti telefonate nelle quali due anni fa incoraggiava e «sognava» la scalata rossa di Unipol alla Banca nazionale del lavoro, Massimo D’Alema ha dunque scoperto gli effetti «indecenti» delle procedure giudiziarie «sotto lo sguardo trascurato» della magistratura. Dalla quale egli si aspettava evidentemente un’applicazione delle norme più rispettosa delle residue prerogative o immunità parlamentari.
In verità, all’autorevole esponente di quello che fu il Pci è già accaduto altre volte di riconoscere le storture di un sistema a dir poco anomalo e di lamentarsene, senza però trarne mai le conseguenze sul piano politico promuovendo o sostenendo iniziative capaci di cambiare davvero le cose.
Egli era capogruppo alla Camera quando si discusse una proposta di legge, sostenuta anche da un suo compagno di partito poi emarginato, che voleva ridurre il ricorso alla carcerazione preventiva, visto l’uso smodato che se ne stava facendo nelle indagini su Tangentopoli. D’Alema riconobbe in aula che la proposta era giusta, ma ne lamentò la «inopportunità» perché l’approvazione in quel momento sarebbe apparsa ostile ai magistrati.
Qualche tempo dopo gli capitò di cenare nell’abitazione romana di Alfio Marchini con Filippo Mancuso, che mi raccontò poi di essere rimasto impressionato per l’asprezza con la quale sentì parlare l’allora segretario dell’ex Pci di certa magistratura per via di alcuni spifferi giudiziari che minacciavano di danneggiarlo. Il povero Mancuso, diventato poi ministro della Giustizia nel governo di Lamberto Dini, se lo ritrovò con sorpresa tra gli avversari per le ispezioni disposte a carico della Procura di Milano. La vicenda, come si ricorderà, si concluse con la sfiducia parlamentare e l’estromissione di Mancuso dal governo.
Diventato con l’appoggio anche di Berlusconi presidente della commissione bicamerale per le riforme istituzionali, D’Alema protestò giustamente contro un magistrato milanese che aveva appena dipinto quella commissione come un’accolita di «ricattati» perché intendeva promuovere modifiche anche al sistema giudiziario sgradite alle toghe militanti. Ma quando, di lì a poco, divenne presidente del Consiglio egli si tenne ben lontano dai temi più scabrosi della giustizia.
Ora che il pendolo di D’Alema sembra tornato su posizioni garantiste, mi chiedo quanto tempo vi rimarrà.

Aspetto l’accigliato ministro degli Esteri alla prova dello sciopero minacciato dai magistrati per far cancellare entro luglio dalla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata faticosamente nella scorsa legislatura quel poco che è rimasto dopo le mutilazioni e la sospensione strappate un anno fa all’esordiente Guardasigilli Clemente Mastella.

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