Controcultura

Il pendolo di Freud ipnotizza la Vienna più "psicopatica"

Il nuovo prodotto di Netflix racconta il lato oscuro ma vitale della città degli Asburgo sul finire dell'800

Il pendolo di Freud ipnotizza la Vienna più "psicopatica"

Il pendolo va avanti e indietro... Avanti e indietro... E voi vi sentite sempre più stanchi. Seguite soltanto il suono della voce del giovane medico (non ancora psicanalista, visto che la psicanalisi l'ha inventata lui) Sigmund Freud. Sino a che, svegliandovi urlando, gli date un bel pugno sul naso ma, contemporaneamente, vi accorgete di essere rimasti ipnotizzati, e che siete già caduti in un altro episodio, in un'altra allucinazione.

Questo potrebbe essere il più sintetico giudizio critico sulla serie Freud, una delle più attese del 2020 e la prima produzione Netflix realizzata in Austria. Ora vediamo di spiegarlo senza lasciarci deviare da rimozioni o pulsioni che sfuggano al controllo del nostro super-io.

Le vicende narrate negli otto episodi sono ambientate attorno al 1885-1886, gli anni in cui Freud si dibatteva davvero in un guado complesso. Aveva portato avanti studi pionieristici sulla cocaina, conclusisi con una brutta dipendenza dalla medesima che faticò a superare e che lo spinse poi a rimangiarsi i suoi primi entusiastici commenti sulla sostanza. Si era interessato alle tecniche dell'ipnotismo studiate in Francia con il neurologo Jean-Martin Charcot, ma riusciva poco e male a praticarla. Si vedeva sbattere la porta in faccia dagli accademici più tradizionali che rifiutavano ogni approccio clinico che non si limitasse a curare il sistema nervoso in maniera diretta e fisica. A tutti questi signori l'inconscio sembrava una ridicola invenzione... Sin qui la contestualizzazione storica della serie che vanta anche una ricostruzione di ambienti, costumi, divise e dettagli antropologici della Vienna d'antan davvero credibili. Quella che va in scena è una descrizione molto onirica, filtrata anche dagli stati di alterazione del giovane Freud, della Vienna che fu. C'è l'odio antiebraico che percola da alcuni personaggi, c'è quel tanto di dissolutezza sotto la patina borghese e nobiliare che è stato immortalato da Klimt nei suoi quadri, e quel tanto di macabro e morboso che caratterizzava una città definita già dai contemporanei «il cuore pulsante di un cadavere» e che nella serie è sempre ritratta con una angolatura dark e spigolosa, come portando gli schizzi di Egon Schiele all'estremo. Un dettaglio per tutti: i creatori della serie, Marvin Kren, Benjamin Hessler e Stefan Brunner, sottolineano come nelle università del tempo andassero terribilmente di moda i duelli tra studenti. Più di un personaggio della serie ne porta sul viso le cicatrici. E ben raccontata è anche la passione per l'esoterismo che attraversava le classi colte dell'epoca, in un tripudio di sedute spiritiche che fecero il successo di personaggi alla Aleister Crowley e che lasciarono tracce più durature sul pensiero di Jung che su quello di Freud (il quale comunque partecipò ad alcune sedute spiritiche).

Questo contesto, e la sua vena onirica, sono la cosa migliore di Freud, che non è, dichiaratamente, una serie biografica ma, semmai, una sorta di romanzo gotico con venature psicanalitiche. Peccato che la vena horror scappi ogni tanto di mano agli autori, quasi avessero dovuto ficcarcela per forza per accontentare il pubblico. Gli spazi di vuoto documentale per farlo c'erano, Freud ha infatti distrutto molti dei suoi appunti giovanili, forse avendo compreso che, prima di spalancare le porte dell'inconscio, ha sbattuto su molte porte sbagliate. E quindi il Freud indagatore di delitti è tollerabile per una serie tv, a patto di non esagerare...

Ma della serie si può apprezzare soprattutto il lato onirico e buttare alle ortiche lo splatter. Delle due facce della Vienna di fine Ottocento è stato scelto di sottolineare quella sulfurea, a scapito di quella solare, fra walzer, parchi e pasticcerie. Anche se i creatori, intervistati alla presentazione di Freud alla Berlinale, hanno rimarcato di aver voluto evidenziare anche l'umorismo dei viennesi. Però, a conti fatti quel lato oscuro è stato forse raccontato di meno, e valeva la pena mostrarlo. Vienna è stata spesso descritta come una bomboniera polverosa. Ma acutamente notava Federico Zeri che la Vienna dell'epoca di Freud «è la culla di una rivoluzione culturale destinata a sconvolgere la tradizionale concezione dell'uomo, portando alla luce le sue contraddizioni e mettendone in discussione le certezze». Questo senso di spaesamento, nella serie c'è tutto. Viene raccontato bene ciò che succede quando della tradizione e della moralità resta soltanto una crosta esteriore, mentre le pulsioni scavano sotto, con un sottile gusto del macabro. Potreste scambiarlo per manierismo, a tratti sentirvi spaesati dal continuo sfasamento tra realtà e sogno.

Ma è la sensazione precisa che portò i figli di un mondo vitale ma decadente a scoperchiare la cripta dei cappuccini del loro inconscio.

Commenti