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Pennetta, che colpo La vittoria in America vale più del top ten

Era passata mezzanotte quando domenica Flavia Pennetta ha concluso la finale del torneo di Los Angeles ottenendo la sua prima vittoria in una prova da 700mila dollari. Un risultato importante che la proietta verso un record mai raggiunto nella storia da una italiana! La mia prima reazione è stata quella di inviarle un sms: «Troppo brava: ti voglio bene!». A Montecarlo, dove mi trovo, alle cinque del mattino è arrivata la risposta: «Grazie mille Lea, le tue parole mi danno grande gioia!». In quel momento Flavia si apprestava a salire su un aereo che l’ha portata in un luogo immerso nel verde con tanti campi da golf, dove ieri mattina ha preso il via il torneo di Cincinnati, prova da due milioni dollari.
Il tennis è uno sport che non concede tregua. La vita dentro quel magico rettangolo, scontornato da righe bianche, è davvero crudele. Si tratta di una avventura complicata e strana. Primo perché si tratta di un gioco senza tempo. Secondo perché non è detto che vinca il contendente che ha messo a segno più “quindici” e di questo fenomeno sono consapevoli tutti coloro che sanno impugnare una racchetta. Terzo, perché dentro al campo il giocatore è davvero solo con se stesso, con le proprie angosce, paure e ansie. Quarto, perché al di là della rete oltre all’avversario c'è un esercito di fantasmi! Poi ci sono due demoni: la paura di vincere, feroce quanto quella di perdere! E, qui spezzo una lancia in favore di uno sport che mi ha insegnato tanto, per spiegare a quei pochi che non hanno mai preso in mano una racchetta, quanto sia più semplice appartenere ad una squadra, in cui il campione può essere sostituito o lasciato in disparte. Un altro aspetto di questo gioco difficilissimo è il tempo di reazione del tennista costantemente costretto a prendere decisioni legate a millesimi di secondo che possono risultare fatali. Senza dimenticare i danni delle ferite che, dopo ogni sconfitta, rimangono come brutte cicatrici dentro l’anima.
Chiedo scusa al lettore se mi sono allontanata dalla cronaca di una vittoria così importante ma con questo articolo vorrei spiegare quanto il valore di Flavia Pennetta vada al di là del benedetto o maledetto “Top Ten” di cui si parla tanto! Il consiglio che do alla mia giovane amica, con gli occhi di velluto, è quello di non lasciarsi intrappolare da una impresa arida e matematica. Pensate che angoscia stare dietro a tante cifre insensate! Per diventare numero 10 a Cincinnati lei dovrebbe arrivare ai quarti di finale per affrontare un teorico duello contro Venus Williams. Però attenzione, il diabolico incastro non si ferma lì: per raggiungere quella classifica Flavia deve augurarsi che giochino peggio di lei la Petrova e la Ivanovic, senza dimenticare i risultati della Radwanska e della Bartoli, che affronta la Clysters al suo rientro dopo la maternità. Ieri appena arrivata a Cincinnati Flavia ha ricominciato ad allenarsi con Urpi il suo coach. Raggiunta al telefono dalla mamma, con straordinaria saggezza, ha affermato: «Voglio affrontare un ostacolo alla volta, senza troppa pressione, esattamente come ho fatto la scorsa settimana!». Dopo aver tentato di spiegare tutto questo spero di non imbattermi nel solito odioso spettatore televisivo pronto a punzecchiarmi: «Come mai le italiane non riescono a entrare tra le prime dieci?».

Critica che mi obbliga a difendermi spiegando che le azzurre non solo hanno vinto la Fed Cup (Coppa Davis femminile) ma in novembre giocheranno la finale contro gli Stati Uniti a Reggio Calabria.

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