Il voto è una conquista democratica: argomento tanto ovvio che è inutile spendere parole. Un po’ più complessa è la riflessione sul perché talvolta proprio l’astensione dal voto appare un fatto non meno consapevole e importante dell’atto del votare. Domani noi siamo chiamati a pronunciarci su una questione che non è in alcun modo politica, ma che è diventata un tipico, chiarissimo terreno di scontro politico.
Premetto di essere convinto che nei prossimi anni le vere e grandi questioni che coinvolgeranno l’umanità saranno quelle relative alla bioingegneria. Non si tratta di problemi che divideranno le persone tra quelle che demonizzano la ricerca scientifica, come se questa fosse l’anticamera dell’inferno, e quelle che osannano il progresso e le sperimentazioni tecnologiche e scientifiche. Questa contrapposizione è pretestuosa e rianima un vecchio e inacidito dibattito ideologico da Guerra Fredda che era sparito dalla nostra cultura, pur sempre poco fantasiosa. Piuttosto è in questione la dimensione etica della società, l’idea di uomo, il significato della vita e della morte, il concetto di limite del potere scientifico.
Sono problemi che riguardano tutti, ma con quali strumenti vengono affrontati? Su quali basi culturali, su quali principii educativi è possibile dar loro una risposta? Certo, sono problemi che riguardano tutti, ma non tutti si trovano nella stessa difficoltà di decisione.
Per esempio, chi è cristiano sa qual è l’orizzonte che determina le sue scelte: esiste una dottrina, c’è un magistero, c’è una riflessione teologica che si sviluppa da duemila anni. Le decisioni di un cristiano sono libere, ma possono essere orientate; sono individuali ma rientrano in un contesto collettivo. Nelle questioni fondamentali della vita, nell’interrogarsi sul senso della morte il cristiano non è mai solo: ha vicino a sé una comunità, può seguire una traccia segnata da chi ha il compito di guidarlo.
Un laico è solo: ha dietro alle sue spalle due secoli di illusioni illuministe, di promesse progressiste, di portentosi ideali di giustizia, di comunismo, di inarrestabile emancipazione dei popoli. Questa ideologia per due secoli si è confrontata (non necessariamente scontrata) con il sentimento religioso, con la fede nella trascendenza. Per due secoli abbiamo assistito a una sorta di gara su chi avrebbe interpretato con maggiore intelligenza, con maggiore efficacia sul piano dell’educazione del popolo il significato del mondo, il senso della vita e della morte.
Oggi il pensiero laico è in crisi: non sa affrontare le questioni decisive. Con un po’ di realismo si trova a riconoscere che l’ideologia dello sviluppo inarrestabile dell’uomo verso il progresso basato sulla scienza è un ferro arrugginito, che il materialismo storico appartiene al repertorio del nostro antiquariato culturale. Soprattutto, il laicismo non è più capace di coinvolgere i giovani, mentre questo non accade al mondo cattolico, come abbiamo potuto facilmente constatare durante l’agonia e i funerali di Papa Giovanni Paolo II.
I problemi della fecondazione assistita sarebbero stati una grande occasione per il pensiero laico di riflettere sui suoi limiti, decretati dalla storia, per affrontare in una nuova prospettiva, quella aperta dalle bioingegnerie, la dimensione etica del non-credente, il valore della vita quando si è laicamente convinti che essa abbia fine con la morte. E soprattutto stabilire se sia necessario un limite alla sperimentazione sull’essere umano e dove porre eventualmente il limite alla ricerca scientifica.
Tutto questo, che sarebbe stato alla base di una fondamentale riflessione etica dei laici su una questione importantissima, cioè quella della fecondazione assistita, è diventato un pretesto per uno scontro politico. Vogliamo sostenere che astenersi dal partecipare a questo modesto scontro sia sbagliato?
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