Roma - Abolizione dello scalone e passaggio ai famosi scalini oppure alle quote, composte dalla somma di età anagrafica e anzianità. E forse qualche forma di volontarietà, quindi incentivi per spingere chi è in età da pensione a restare al lavoro. Poi coefficienti di trasformazione «intelligenti», in altre parole una revisione periodica più frequente, ma più morbida dei parametri sulla base dei quali si calcola la pensione. La no-stop governo-parti sociali è appena iniziata e già si intravede il probabile punto di arrivo sulla previdenza. E questo perché adesso non sono più solo i sindacati a voler arrivare velocemente all’accordo sulla previdenza, ma anche Romano Prodi.
Il tavolo di ieri è servito a ufficializzare il comune interesse a fare in fretta. Il premier ha chiesto alle parti «un ritmo pressante perché la trattativa è fatta per trovare una soluzione ma la decisione va presa molto, molto velocemente». D’accordo i sindacati che vogliono evitare di trattare la riforma delle pensioni a ridosso della finanziaria.
Unica nota stonata, le stime della Ragioneria generale dello Stato (e quindi del ministero dell’Economia) sui costi dell’abolizione dello scalone, che ieri sono finite nelle prime pagine di diversi quotidiani. Coincidenza che i segretari generali hanno letto come una mossa di Padoa-Schioppa (che non era al tavolo perché impegnato in un’audizione parlamentare sul Tfr) per mantenere la riforma Maroni così com’è. Secondo le stime la rimodulazione dello scalone (età pensionabile da 57 a 60 anni con 35 di contributi) costerebbe fra il 2008 e il 2016 dai 2,5 ai 10 miliardi. Conti «inverosimili. Se è così - è stato l’avvertimento del segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani - la trattativa comincia malissimo, perché noi lo scalone lo vogliamo davvero superare». Ancora più diretto il segretario della Cisl Raffaele Bonanni che ha parlato di «terrorismo dei numeri» e ha accusato Padoa-Schioppa: «I ministri dicano liberamente la loro opinione e non si celino dietro mentite spoglie». Critica anche l’Ugl che ha chiesto tempi brevi.
La mossa non è piaciuta nemmeno al resto del governo. Non al ministro del Lavoro Cesare Damiano, ex sindacalista fautore dei piccoli passi, che ha criticato gli «allarmismi alla vigilia di un incontro». Ma nemmeno a Palazzo Chigi, tanto che in serata è filtrata la censura di Prodi: «Non ha gradito la pubblicazione delle stime».
L’intesa nel dettaglio è ancora da definire, e sarà illustrata domani nel secondo appuntamento del tavolo, ma l’impianto generale è quello noto perché è già stato discusso nel corso di contatti a margine dell’ufficialità tra l’esecutivo e le principali confederazioni. Ipotesi che sono piaciute ai sindacati. Bonanni in particolare ieri ha detto che la trattativa sta andando «benino» e ha ammesso che si può effettivamente chiudere in tempi brevi.
L’idea di una correzione della riforma previdenziale fatta in fretta per accontentare i sindacati preoccupa invece Confindustria che - come ha chiarito il direttore generale Maurizio Beretta non considera l’abolizione dello scalone «né una priorità né una necessità». Più tardi il presidente di viale dell’Astronomia è andato al nocciolo della questione, cioè il costo della rinuncia allo scalone. «Bisogna - ha auspicato Luca Cordero di Montezemolo - evitare che si affrontino i problemi pesando ulteriormente sulla spesa pubblica. Abbiamo bisogno di andare avanti con la legge Dini e Maroni».
Di parere opposto Epifani secondo il quale l’abolizione dello scalone «è già sostanzialmente pagata con l’aumento dei contributi da 32,7 per cento a 33 per cento per i lavoratori dipendenti stabilito dalla scorsa Finanziaria». Di sicuro parte della copertura verrà da un ulteriore aumento dei contributi previdenziali di autonomi e parasubordinati. Oltre che dalla unificazione dei principali enti previdenziali, che però non piace alla Cisl.
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