Pensioni in calo, Monti gongola. Ma il merito è di Berlusconi

Nel 2011 sono 94mila in meno rispetto al 2010. Il risultato fa salire il pressing sull'esecutivo per alleggerire la riforma previdenziale

Pensioni in calo, Monti gongola. Ma il merito è di Berlusconi

Roma - Migliorano i conti della previdenza e si torna a parlare con insistenza di un nuovo intervento sulle pensioni, questa volta per alleggerire il carico della riforma Fornero. Per il momento è poco più che un’indiscrezione. Circolava già nei giorni scorsi e ieri si è rafforzata in coincidenza con l’anticipazione di alcuni dati sull’andamento delle pensioni nel 2011. A pochi giorni della riforma previdenziale più dura della storia italiana, è crollato il numero delle nuove pensioni Inps. Il paradosso è che non si tratta di un effetto degli interventi strutturali contenuti nell’ultima manovra, ma della conseguenza di una misura varata dal precedente esecutivo che la manovra «salva Italia» ha peraltro abolito, cioè gli interventi sulle finestre. E i cui risparmi andranno a beneficio dell’attuale esecutivo che potrebbe contare su un «tesoretto inaspettato.
Nei primi undici mesi, quindi praticamente per l’intero 2011 - ha anticipato ieri l’agenzia Ansa - le pensioni di vecchiaia e anzianità liquidate sono state 224.856, oltre 94.000 in meno rispetto allo stesso periodo 2010. Un calo quasi di un terzo dovuto soprattutto alle nuove pensioni di vecchiaia che, con le nuove finestre, si possono ottenere di fatto solo a 66 anni per gli uomini, rispetto all’età ufficiale che è 65, e a 61 per le donne, quando per il momento il requisito di legge è ancora a 60. Un anno in più che è bastato per fare registrare una diminuzione delle pensioni di vecchiaia del 39,4%. Il calo per le anzianità è stato del 20,1%, anche in questo caso per effetto della finestra mobile che sposta in avanti di 12 mesi (18 per gli autonomi) la pensione, una volta raggiunti i requisiti.
Le cifre sono uscite ieri, a due giorni dal presidio natalizio dei sindacati davanti a Montecitorio. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto con forza al governo di riaprire la riforma della previdenza. «Non è una partita chiusa» e se il governo non darà ascolto alle parti sociali e va dritto per la sua strada rischia di sbattere, ha minacciato il segretario della Cgil Susanna Camusso. «C’è bisogno di un accordo tra governo e forze sociali, sostenuto dai partiti», è la richiesta del leader Cisl Raffaele Bonanni. «Non vorremmo scoprire che l’unica riforma è quella delle pensioni», ha rimarcato ieri il leader della Uil Luigi Angeletti.
Il calo delle nuove pensioni va in soccorso alle tesi dei sindacati in due modi. Intanto perché ora hanno buon gioco nel sostenere che il sistema era in equilibrio anche prima della riforma Fornero. Poi perché il calo dei nuovi pensionati si tradurrà in un risparmio.
C’è già chi nella maggioranza, oltre agli stessi sindacati, vorrebbe destinarlo ad attutire gli effetti della stretta previdenziale della manovra «salva Italia». Ieri ne ha parlato apertamente l’ex ministro del Lavoro, Pd, Cesare Damiano che vorrebbe alleggerire la generazione dei nati negli anni Cinquanta. L’obiettivo dei sindacati è invece di fare tornare indietro il governo sui 40 di contributi. Con la riforma, per la «pensione anticipata» servono 41 e un mese per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini e se si richiedono prima di 62 anni di età scatta una penalizzazione. Questa misura, a giudizio dei sindacati, è sbagliata perché discrimina i lavoratori precoci e manuali
Più cauto Giuliano Cazzola, deputato Pdl e uno dei maggiori esperti italiani di previdenza, secondo il quale i dati Inps intanto dimostrano che il governo Berlusconi aveva già contenuto la spesa. Ma adesso, aggiunge, è giusto mantenere il rigore della riforma Fornero. Quindi, no al ritorno alle pensioni con il solo requisito dei 40 anni. Si dovrebbe semmai intervenire per migliorare alcune tutele, ad esempio quelle per i 65 mila lavoratori in esubero per i quali si dovrebbero congelare gli attuali requisiti di licenziamento. Magari includendo anche chi ha trattato singolarmente con l’azienda l’uscita e i licenziati.
Anche il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua ieri ha messo le mani avanti per scoraggiare chi volesse annacquare la riforma. «Abbiamo verificato - ha detto commentando i dati del 2011 - che la transizione era troppo lenta». Nell’anno che sta finendo l’uscita media dell’età per anzianità è stata di 58,7 anni.

«Negli altri Paesi europei si esce dal lavoro più tardi». E anche l’entità delle pensioni italiane è più alta: «A fronte del nostro 80% rispetto all’ultimo stipendio, in Germania chi va in pensione prende in media il 58,4%. Ora abbiamo messo in sicurezza il sistema».

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