Pensioni, l’Europa avvisa Prodi: gli italiani ci vanno troppo presto

Da Eurostat arriva l’ennesimo monito di Bruxelles al governo: «Dal 1998 l’età media è salita ovunque tranne che in Italia»

da Roma

Gli italiani sono i lavoratori europei che vanno per primi in pensione. Gli uomini a 58,4 anni, le donne a 57,2. Vale a dire, gli uomini escono dal mondo del lavoro 7 anni prima dei 65 anni ufficiali. Le donne, tre anni prima. In Germania gli uomini vanno a riposo a 61,6 anni e le donne a 59,9; in Spagna, rispettivamente a 62,6 e 59,5; in Svezia a 63,9 e 63,3.
Ma avere i pensionati più giovani d’Europa è un privilegio che costa caro: non a caso la spesa previdenziale assorbe quasi il 14% della ricchezza prodotta in un anno. E che Eurostat segnala non senza una vena polemica.
Viene dall’Istituto statistico europeo, con base a Lussemburgo, infatti, l’ultimo documento che critica il sistema previdenziale italiano. E da notare che Eurostat, per la burocrazia europea, altro non è che un dipartimento alle dipendenze del commissario per gli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia. Da qui le preoccupazioni del commissario per le mancate riforme delle pensioni. Preoccupazioni che trovano conferma negli ultimi dati di Eurostat.
Gli esperti di Eurostat sottolineano come dal 1998 (da quando è stata creata l’area dell’euro), l’età media effettiva di pensionamento sia gradualmente aumentata in quasi tutti i Paesi europei. Ad eccezione dell’Italia «dove, anzi, si è registrata una caduta».
Un’inversione di tendenza si era registrata - ricordano a Lussemburgo - con la riforma Tremonti-Maroni e con l’innalzamento dell’età pensionabile a 60 anni (lo scalone), a partire dal primo gennaio del 2008. Ora il governo ha firmato un Protocollo con i sindacati per eliminare lo scalone e per sostituirlo con aumenti graduati dell’età pensionabile.
Sull’argomento - almeno ufficialmente - la Commissione non si è formalmente pronunciata. A livello informale, però, ha già fatto sapere al governo di non condividere la scelta, in quanto non garantisce la sostenibilità di lungo periodo. E in qualunque caso, il Protocollo sul welfare (che dovrà essere tradotto in norme con la legge finanziaria) segna comunque una direzione contraria da quella adottata a livello europeo e fotografata da Eurostat con il documento che attesta come i pensionati italiani siano i più giovani della Ue.
Non è casuale la scelta dell’Istituto di statistica europeo di datare il 1998 come «anno zero» delle riforme previdenziali con conseguente aumento dell’età di ritiro dal mondo del lavoro. L’introduzione dell’area dell’euro ha costretto i diversi stati membri ad attuare riforme strutturali in grado di mettere sotto controllo la spesa pubblica; e, quindi, il debito. Prime fra tutte quelle delle pensioni, seguite da una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro che, favorendo il numero di occupati, garantiva l’altra zampa del tavolo previdenziale, quello contributivo.
Riforma strutturali che, per queste ragioni, figurano ai primi posti dell’Agenda di Lisbona. Ed il Consiglio europeo di Lisbona venne guidato da Romano Prodi quale presidente della Commissione europea. Oggi, però, proprio Prodi ha annacquato la riforma delle pensioni votata nella precedente legislatura, ed apprezzata a livello europeo; e punta a minare la Legge Biagi, che ha favorito una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro.


È ovvio, quindi, che la Commissione europea stigmatizzi le scelte del governo in materia di riforma previdenziale: riporta l’Italia indietro nell’aumento dell’età pensionabile; e rallenta quella sostenibilità della spesa garantita dalla Tremonti-Maroni e dallo scalone.

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