Pensioni, l’Ocse boccia l'Italia: troppo lenti

L’organizzazione europea bacchetta il governo: "Tempi troppo lunghi per la riforma della previdenza". Ma l’esecutivo non ci sta: "Sono stati utilizzati dati fuorvianti" e il ministro del Lavoro si rifiuta di firmare il documento comunitario

Pensioni, l’Ocse boccia l'Italia: troppo lenti

Roma - L’Ocse non la pensa allo stesso modo del governo in tema di pensioni e il governo non firma il rapporto dell’Ocse sulle pensioni. L’esecutivo Prodi ha scelto un gesto inedito che ha portato l’Italia, per la prima volta, a «divorziare» dall’organizzazione che riunisce le trenta principali economie del pianeta. E che non è nuova a richiami su pensioni e lavoro.

L’ultimo, un rapporto redatto dal comitato Social Affairs, riguarda di nuovo la previdenza. E le raccomandazioni all’Italia sono le stesse di sempre: le riforme fatte, quindi la Dini e la Maroni, vanno realizzate. E se ci dovranno essere delle correzioni, devono riguardare i tempi di attuazione che sono «troppo lunghi». Questo mentre il governo intende correggere entrambe le riforme alleggerendo i coefficienti di trasformazione della Dini e - soprattutto - modificando lo scalone varato dal centrodestra (età pensionabile da 57 a 60 anni, con 35 di contributi).

Lo stop alla firma è arrivato dai consulenti del ministero del Lavoro. Ed è esclusivamente tecnico, ha precisato il dicastero guidato da Cesare Damiano. «In particolare - ha spiegato lo stesso Damiano - l’Italia ha segnalato che calcolare le prestazioni pensionistiche sulla base di carriere lavorative ininterrotte di 45 anni, rischia di produrre risultati fuorvianti». Insomma il metodo Ocse non offrirebbe «una corretta rappresentazione del nostro sistema».

Ma a riprova del fatto che la distanza sia tutta politica, lo stesso Damiano, ha di fatto respinto l’invito dell’Ocse a fare di più annunciato una «manutenzione». Che, assicura, manterrà l’equilibro del sistema.

I dati riportati dall’Ocse riflettono, in realtà, una situazione nota. Tra i paesi membri l’età di pensionamento degli uomini è già a 65 anni. In Italia questa soglia vale invece solo per gli uomini che hanno meno di 35 anni di contributi (un divario che, sottolinea l’Ocse, esiste solo in Messico, Polonia e Svizzera).

Rilievi tecnici che cozzano con le richieste dei sindacati, che ieri hanno dato il loro sostegno al governo e alla scelta di non firmare. Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, si è detto contento della scelta e ha sostenuto che l’Ocse e il Fondo monetario internazionale rischiano così di «perdere di credibilità». Una scelta di «buon senso» anche per l’Ugl. Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni punta invece sulla parte del rapporto in cui si consiglia di attivare «reti di sicurezza» per i poveri. Decisamente pro-Ocse il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo.

Per quanto tecnica, la scelta del governo ha suscitato reazioni politiche. Innanzitutto nel centrodestra, con l’ex ministro del Welfare Roberto Maroni che ha ironizzato sul governo che «si propone europeista ma quando le istituzioni europee lo criticano sconfessa il suo europeismo». A spingere il governo in direzione opposta rispetto al resto del mondo è la sinistra radicale che ha fatto delle pensioni una bandiera. Contro questo orientamento si sono espressi praticamente solo il ministro Antonio Di Pietro e il radicale Daniele Capezzone. La posizione dell’Ocse è condivisa da Forza Italia, con Maurizio Sacconi che rileva come l’Italia sia «l’unico Paese industrializzato» a respingere i dati dell’organizzazioni di Parigi.

Una scelta che si spiega solo con il rifiuto «non solo di contenere ancor più la spesa», ma anche con la volontà di «regredire dalle riforme già fatte». La scelta del ministero del Lavoro per Adolfo Urso di An, «evidenzia quanto distanti siano le posizioni del governo dalla necessità reali». Una «scelta grave» anche per il segretario del Pri Francesco Nucara.

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