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Al Pentagono si cambia Ecco le nuove strategie

Andrea Nativi

Ora si cambia! Questa è la speranza che serpeggia nel Pentagono. Non si parla tanto di strategia per la guerra in Irak o delle operazioni in Afghanistan, visto che non ci sono soluzioni magiche a portata di mano, quanto del nodo critico del rapporto tra leadership politica e il mondo con le stellette, nonché della evoluzione dello strumento militare statunitense.
Donald Rumsfeld e la sua ristretta cerchia avevano spogliato delle proprie prerogative i comandanti militari, in particolare il JCS, il Comitato dei Capi di stati maggiore, di cui sempre meno si ascoltavano suggerimenti, consigli, critiche. Ora è tempo di un riequilibrio. Molti sperano anche che finisca l’interferenza del segretario alla Difesa e dei suoi uomini in scelte prettamente tecniche, un aspetto che ha fatto accostare Rumsfeld a Robert McNamara, il famigerato inventore del «micromanagement».
A livello strategico, ci si augura che sia al più presto abbandonata una visione dogmatica della conduzione delle operazioni militari, di cui la guerra in Irak è stato un esempio. Il conflitto è stato un banco di prova per la concezione di guerra «leggera» basata sul dominio delle informazioni e la tecnologia che tanto piaceva a Rumsfeld e ai suoi zeloti.
È probabile che anche la parola magica «trasformazione», che tanto piaceva a Rumsfeld, passerà di moda, così come la tendenza a considerare superati anche costosissimi sistemi che possono essere proficuamente utilizzati per anni e non meritano di essere abbandonati.
Certo l’impalcatura della modernizzazione delle forze armate non cambierà radicalmente: dopo sei anni troppi soldi sono stati spesi, troppi programmi sono stati avviati. Si continuerà a puntare quindi sulla guerra networkcentrica e sulla finalizzazione delle operazioni alla ricerca di specifici risultati (Ebo, operazioni finalizzate al raggiungimento di effetti). Tuttavia ci si attende un riorientamento delle priorità. Specie con un Congresso in mano ai democratici, non sarà più un tabù discutere la consistenza delle forze armate, che Rumsfeld ha cercato di comprimere anche quando era evidente la necessità di aumentare il numero di soldati disponibili, specie con certe specialità. E se ci saranno più soldati resteranno meno soldi per le tecnologie esotiche, certamente utili, ma non sempre indispensabili o così urgenti. Persino in Gran Bretagna, dove pure il credo Usa era stato assorbito integralmente, ripensamenti sono già in atto da qualche tempo. E le ricadute non tarderanno a manifestarsi in ambito Nato.
Anche nel campo della difesa antimissile sono possibili ripensamenti, perché il Congresso sarà meno prodigo di stanziamenti in questa direzione.
È anche vero che Rumsfeld in questi anni ha scelto con cura buona parte degli ufficiali generali a 3 o 4 stelle collocati in posizioni chiave. Non tutti però sono solo yesman, e il livello medio di preparazione del corpo ufficiali è comunque molto elevato.

Certi uomini che in teoria dovevano solo obbedire e tacere si sono rivelati molto più integri e pugnaci del previsto.

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