Il pentito un anno fa: «I mandanti? E chi li conosce...»

nostro inviato a Palermo

Gente che ha ammazzato magistrati, sciolto nell’acido bambini, lastricato le strade di innocenti crivellati dal piombo, quando si mette a collaborare con la giustizia non lo fa quasi mai in modo serio, coerente, trasparente. A distanza di anni, ricorda improvvisamente ciò che aveva dimenticato, o negato di sapere, per mesi, giorni o anni interi. Gaspare Spatuzza, il pentito che solo dopo un anno e un’infinità di interrogatori (oltre tremila pagine) accosta il nome di Berlusconi alle stragi di mafia del ’93 incarna alla perfezione il prototipo del pentito che ritrova senno e memoria con sospetto ritardo. Il primo interrogatorio è del 9 luglio 2008.

«ERAVAMO IN GUERRA»

Spatuzza racconta di come il boss Giuseppe Graviano gli parlò «genericamente di politica» senza mai fare nomi dei suoi referenti: «Ci dice se capivamo di politica, ci spiega che praticamente c’è in piedi una situazione che se va, alla fine ne avremo tutti i benefici». Nomi, niente. Parla del fallito attentato a Maurizio Costanzo, della bomba agli Uffizi di Firenze «perché eravamo in guerra totale con lo Stato», della strage mancata all’Olimpico di Roma, dell’intenzione di uccidere il pentito Contorno. In ballo c’è il progetto della dissociazione. La trattativa va a rilento. «Graviano mi dice: se non arriva niente da dove deve arrivare è bene cominciare a trattare coi magistrati».

MARTELLI E I VOTI DEL 1989

In un colloquio con il boss, continua Spatuzza, «parlammo genericamente di politica. Personalmente avevo avuto un solo contatto diretto con la politica, tramite i Graviano, nel 1986-87 allorquando ci fu detto di cercare voti per i socialisti, cosa che facemmo. In concreto furono eletti Martelli che altre tre siciliani, si disse che era quaterna». Secondo interrogatorio, niente nomi eccellenti nemmeno stavolta. È il 17 luglio 2008: «A Graviamo dissi: ci stiamo portando dietro un po’ troppi morti, esprimevo il malessere di tutto il gruppo delle stragi (...) perché stavamo facendo attività di tipo terroristico estranee alle nostre abitudini».

MALESSERE IN COSA NOSTRA

«C’era malessere in Cosa nostra verso gli stragisti perché veniva addebitata a noi un aggravamento delle condizioni della detenzione e in particolare del 41bis (carcere duro). Fu per questa ragione che Graviano volle chiarire che aveva questi contatti. Io trassi la convinzione che per come operava Graviano vi era un accordo diretto». Singolare. Per Spatuzza, mentre il governo Berlusconi inasprisce il carcere duro, Graviano (che è all’ergastolo in 41bis) dice che va tutto bene. Nomi? Nessuno. «Come ho già detto la volta scorsa Graviano non esternò chi fosse il politico con il quale aveva questo accordo di tipo politico, anche perché i Graviano furono arrestati e tutto finì lì». Il pm insiste. Fa presente che il mafioso Romeo sostiene che Spatuzza abbia fatto riferimento al premier. Macché: «Escludo di aver potuto fare con fondatezza qualsivoglia nominativo perché non potevo conoscerlo in quanto a suo tempo Graviano non me lo aveva svelato. Se avessi avuto contezza del nominativo l’avrei senz’altro detto nell'interrogatorio».

«NON CONOSCO I POLITICI»

Su Dell’Utri sa poco e niente. Ma poiché la famiglia Mangano aveva costituto una società che si occupava di pubblicità, per deduzione Spatuzza osserva che «si sapeva che questo era il settore nel quale operava Dell’Utri». Di deduzione in deduzione arriviamo al terzo interrogatorio: 28 luglio 2008. Spatuzza, che è un soldato, dice di aver protestato furiosamente con Giuseppe Graviano (che è il boss) per i morti innocenti delle stragi. «Gli ho detto: noi siamo contrari a uccidere persone innocenti, è contrario alla nostra ideologia, alla nostra sottocultura, il mio sentimento vale per tutti». Al pm, però, interessa il filone politico: «Nel '94, periodo prossimo alle elezioni, come vi muovevate a livello spicciolo di gestire questa politica?».

NESSUN INPUT ALLE ELEZIONI

Spatuzza non si scompone: «No, non ho avuto modo di gestire io, poi i Graviamo sono stati arrestati. Io ero una creatura di Graviano, hanno cercato di tenermi un po' distante». Spatuzza non sa, il pm chiede: «Ma c'era questo accordo?». Il pentito, spazientito: «Certo!». Ora è il pm a frenare: «Non voglio dirlo io, non voglio passare avanti alle sue parole... ». Spatuzza: «Se Graviamo mi diceva dobbiamo sostenere (alle elezioni, ndr) Tizio o a Caio, io lo avrei saputo». Il pm non si arrende. «Quando Graviano vi fa capire che c'è questo accordo la controparte cosa si aspettava? Cosa nostra voleva benefici, ma la controparte, fra virgolette politica, cosa si riprometteva? Ve lo disse Graviano? Ve lo fece capire?». Spatuzza: «No» I magistrati puntano poi a capire come mai i Graviano frequentassero tanto Milano, Spatuzza non se lo sa spiegare e all’ennesima insistenza, taglia corto in un italiano incerto.

IL MANDANTE? NON SO CHI È

«Se io avrei saputo il mandante di quelle stragi non lo avrei nascosto. Cioè non l’avrei neanche dimenticato. Ma figuratevi se io so il nome del mandante!». Figuriamoci se lo sa. Il pm non si dà per vinto, ma poi, di fronte all’ostinazione di Spatuzza, esplode: «No, no, lasciamo perdere, quello l’ha bell’e detto che non sa niente». Nuovo giro a verbale, altro interrogatorio: 10 settembre 2009. Messo a confronto col mafioso Lo Nigro, il Nostro viene smentito e ridicolizzato sull’incontro con Graviano: «Senti, io rispetto le tue scelte, ma sei sicuro di quel che dici?». Spatuzza si risente: «Ma così mi dài del bugiardo, e io non lo sono». Ennesimo interrogatorio, siamo al 14 settembre. Graviano è a confronto con Spatuzza che gli legge una lettera, dove non parla di politici.

IL PENTIMENTO CRISTIANO

Invita solo il boss a pentirsi: «Caro Giusè, quello che mi ha spinto a scrivere è quell’essere cristiano che mi fa amare l'uomo come è stato creato a immagine e somiglianza di Dio». L’essere cristiano di Spatuzza lo porta, il 17 dicembre 2008, a regalare altre perle sui colloqui col giudice Vigna fino al progetto di dissociazione portato avanti dal boss Calò. I magistrati chiedono ancora dei politici: «Per me quelli che si dovevano muovere e di cui Giuseppe Graviano poteva parlare erano gli stessi politici con cui lui aveva preso accordi dei quali ci riferì nel 1993. Questo è quanto capii in quel momento. Sull’identità, almeno a livello politico di questo interlocutore, anche solo come area di appartenenza, Filippo Graviano non mi dette in quella circostanza alcun dettaglio». Niente da fare, il nome di Berlusconi non esce ancora. Il 16 marzo 2009 nuovo verbale: si discute della presenza milanese dei fratelli Graviano («insolita, era più sicuro se restavano nel loro quartiere») e degli affari dei boss al nord. Spatuzza giura di non sapere niente. Il pm torna sull’argomento più importante: i mandanti, vuole i politici delle stragi.

«DIVERSIVO PER MANI PULITE»

«Come ho riferito - taglia corto Spatuzza - non posso sapere, perché Graviano non me ne parlò mai, quale fosse l'interlocutore politico a fare le stragi. Ho poi pensato, ma è un mio pensiero, che le stragi fossero state fatte per creare un diversivo ai processi di Mani pulite». Un diversivo, «pensa» Spatuzza. Che aggiunge sibillino: «Posso dire che i Graviano sono ricchissimi e che non mi risulta che il loro patrimonio sia stato mai minimamente intaccato. In sostanza questa possibilità che loro hanno di riferire l’identità dell'interlocutore politico implicato nelle stragi è un jolly o un asso tenuto nella manica».

«IL CONTATTO DEL PREMIER»

Finalmente arriviamo al 16 giugno 2009, giorno della liberazione. Spatuzza mette le mani avanti: «Da quando ho avviato la mia collaborazione ho paura che possano esserci problemi di sicurezza in relazioni alle dichiarazioni che sto facendo. Mi sono sempre posto il problema di una collaborazione nel modo più corretto perché non ho da chiedere niente a nessuno essendo stato, per me, un vero e proprio problema di coscienza. Quando maturai questo progetto all’inizio del 2008 sapevo che i temi che avrei affrontato erano molto pesanti e pericolosi, mi rendevo conto che sarei andato a toccare una decisione giudiziaria importante affondando temi politici (...). Non volevo in alcun modo che la mia eventuale ammissione al programma di protezione potesse essere legata a nomi di politici o comunque di altre personalità tirate in ballo per rendere più interessanti le mie dichiarazioni».

«ABBIAMO IL PAESE IN MANO»

Detto ciò, Spatuzza si libera del macigno: «Effettivamente Graviano disse che queste persone erano più affidabili dei quattro socialisti del 1989. Usò con entusiasmo la frase “abbiamo il paese nelle mani”.

Circa i nomi con le quali l’accordo si era chiuso fece esplicitamente il nome di Berlusconi». L’uomo che solo nel ’94 entrerà in politica, per Spatuzza è il mandante delle stragi del ’93. Lo ribadirà il prossimo 4 dicembre, in aula, al processo Dell’Utri. Incurante d’aver detto tutto e il contrario di tutto.

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