Perché lo Stato ora non può tradire i patti sul condono

La proposta del Pd di tassare i capitali rientrati grazie allo scudo di due anni fa rischia di vanificare l’intera manovra: così si minerebbe la credibilità del Paese

Perché lo Stato ora  
non può tradire  
i patti sul condono

La proposta del Pd di tassare i capitali rientrati grazie allo scudo di due anni fa rischia di vanificare l’intera manovra. Perché mine­rebbe la credibilità del Paese. I cittadini in queste ore stanno sorve­gliando i politici. Devono capire se la Ca­sta che c­hiede loro sacrifici guarda al futu­ro o ci mena per il naso. Poiché lassù tutto tace, non resta che interpretarne i com­portamenti per capire se è consapevole della drammaticità della manovra.

Lor si­gnori devono sapere che ancora più del denaro che ci chiedono - che è perfino po­co rispetto ai bisogni - ci pesa questo dub­bio: siete voi dirigenti credibili, sinceri e leali o state approfittando del caos per im­porre ideologie, consumare vendette per­sonali, ottenere vantaggi elettorali? Alcu­ni episodi lasciano l’amaro in bocca. Si parla di prendersela con chi ha ripor­tato il denaro dall’estero profittando del condono con sconto fiscale deciso dal go­verno Berlusconi due anni fa.

Si è ventila­to di appioppargli un contributo del 15 per cento sul capitale rientrato, ossia la differenza tra il cinque per cento richie­sto d­a Tremonti a suo tempo e il 20 prete­so invece da altri Paesi in casi analoghi. In sostanza, si vorrebbe tornare su decisio­ni già prese e rimangiarsi le promesse in base alle quali i capitali hanno ritrovato la via dell’Italia.

La proposta di mazzolare così pesante­mente gli ex ospiti dei paradisi fiscali è del Pd. Prima a farla, con la rabbia punitiva che è la sua caratteristica e il suo limite, è stata Rosy Bindi.L’ha subito fatta propria Bersani, deliziato dalla prospettiva di una vendetta di classe su famigerati clien­ti di banche svizzere. Entrambi fanno il lo­ro mestiere di anticapitalisti e moralisti a corrente alternata. Allarma invece che si sia dichiarato d’accordo sul principio ­ma con prelievi minimi- , Maurizio Lupi, deputato vicino al Cav e vicepresidente della Camera.Lupi,come Bindi,è cattoli­co dichiarato e avrà sentito qualche eco evangelico su ricchi, cammelli e crune.

Ma commette un grave errore. Qui, infat­ti, non è in gioco la morale ma l’attendibi­lità del governo che ha varato il condono e del centrodestra-Lupi in testa-che l’ha votato. Il patto era: voi riportate tesori che ci fanno comodo, noi chiudiamo un oc­chio e mezzo facendovi pagare una mul­ta da due soldi. Punto.

Ritrattare ora è da magliari. A parte che col piffero, la prossi­ma- e inevitabile- cordata di svizzerandi si farà infinocchiare una seconda volta, ma lo Stato perderebbe la faccia, come la perse all’epoca di Amato che ci derubò di notte. Per concludere sul punto: se pre­varranno i Lupi, ci sono altissime possibi­lità che tutta la manovra sia una trappola. Bersani fa il criticone. Dice di avere un programma alternativo, più efficace ed equo di quello di Tremonti. Conoscendo­lo come fanatico delle privatizzazioni - il suo tic liberista di ex comunista- sono cer­to che ne spunteranno una lenzuolata il giorno che svelerà il suo piano segreto.

E quel giorno farà la figura del mentecatto. Ma come, appena due mesi fa hai boccia­to, stravincendo il referendum, le priva­tizza­zioni volute dal governo sugli acque­dotti e ora le riproponi pari pari per limita­re la spesa pubblica? Che fai il gioco del­l’oca con noi? Eccone insomma un altro da cui guardarsi, perché è pronto a imbro­gliarci per seguire le sue paturnie come ha fatto col referendum sull’acqua solo per umiliare il Berlusca. Chi non ha capito nulla sulle cause e la gravità della crisi è Umberto Bossi. A par­te le impuntature sulla intangibile sacra­lità di pensioni di anzianità e Province, che almeno sono legate a (presunti) inte­ressi elettorali, il debole di Umberto è la demagogia. Ognuno sa che il nocciolo del problema è l’eccesso della spesa pub­blica e delle tasse. Per frenare la prima, Tremonti aveva previsto all’inizio di por­tare il ticket sanitario a dieci euro (da quattro).

Un’inezia che però andava nel­la giusta direzione: scaricare un onere dello Stato sull’utente-malato o ipocon­driaco - allo scopo di frenare abusi. In Bossi è però scattata l’indignazione del­la Sora Lella. Come osate prendervela con chi soffre? Ecc. Così ha messo il veto sul ticket e proposto, per contrappasso, un aumento dell’accisa sulle peccami­nose sigarette. Una dama di carità non avrebbe reagito diversamente.

Come po­litico ha fatto però l’opposto di quello che dovrebbe fare un esponente del cen­­trodestra: ha chiesto più tasse ai cittadi­ni e meno tagli alla spesa pubblica. Un al­tro da prendere con le pinze in questi frangenti. L’ultima, da tagliarsi le vene, viene di­rettamente da Tremonti e conferma il suo statalismo. Passi che ha alzato l’im­posta sulle rendite finanziarie dal 12,5 al 20 per cento. Quel che grida vendetta è che ha esonerato dall’aumento i titoli di Stato (Bot e compagnia).

Favorendo co­sì il pubblico contro il privato, inducen­do i risparmiatori a investire nello Stato anziché nell’impresa, truccando il libe­ro mercato e facendo sospettare che- an­ziché darsi da fare per frenarlo - voglia creare una corsia preferenziale al debito pubblico che ci inabissa. Decidete voi se - tra tutti - sono sulla buona strada per rassicurarci.

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