Perché tagliare due rami se soltanto uno è malato?

Egr. Dr. Granzotto, nel caso di elezioni anticipate solo al Senato, quanto durerebbero in carica i neo senatori? Cinque anni o solo il tempo che manca al termine dell’attuale legislatura? Se è previsto che durino i canonici cinque anni, nel 2013 avremmo elezioni di fine legislatura solo per la Camera? Se così fosse, dalla primavera del 2011 (verosimilmente l’epoca delle prossime elezioni) avremmo consultazioni politiche non ogni cinque anni, bensì ogni due o tre anni. Se, invece, i neo senatori restassero in carica solo sino al 2013 (cioè sino alla fine della presente legislatura) sembrerebbero senatori di serie B e non maturerebbero neppure uno straccio di pensione.
Cantù (Milano)

Caro Sommazzi, una eredità della prima Repubblica è il sentimento, diffuso tra l’opinione pubblica, di malanimo nei confronti del ricorso alle urne. Ritenuto un fastidio, uno spreco di pubblico denaro e un futile esercizio: nient’altro che ludi cartacei, per dirla con la Buonanima. È come se, messe le cose in chiaro nell’aprile del 1948, gl’italiani non avessero avuto più niente da dire. Un atteggiamento subito sfruttato (e fortemente alimentato) da quei volponi della politica, ben contenti di presentare il più tardi possibile il conto agli elettori e intanto garantirsi, guadagnando tempo, il diritto al vitalizio. Conoscendone l’umore, si fanno salti mortali per non restare col cerino in mano nel corso dei tanghi e delle rumbe di fine stagione anticipata di una legislatura. Si inventa qualsiasi cosa, insomma, per non apparire agli occhi dell’elettorato i responsabili dello scioglimento delle Camere e dunque di nuove elezioni. Dove secondo un ferratissimo luogo comune il partito che ha dato l’ultima spintarella al morente Parlamento è punito dall’elettore, che si presume imbestialito dalla prospettiva di dover procedere all’immane fatica del voto. Soldi (tanti, in verità) buttati, si dice. Senza pensare che sono gli unici fra quelli dovuti dal contribuente, ben spesi. Che sono soldi coi quali ci paghiamo il democratico privilegio di metter becco nelle faccende di Stato e di governo, di pesare, di contare, di far venire la tremarella al Palazzo, di obbligarlo a lusingarci, di farci la corte come nemmeno Sarkò a Carlà ai bei tempi.
Poi, certo, passata la festa, gabbato lo santo: la clausola del mandato non vincolante lascia liberi i nostri rappresentati di farsi gli affari loro, come Gianfranco Fini insegna. Ma anche così svilita dalla «Costituzione più bella del mondo», quella resta l’unica occasione al popolo che sempre lei, la Costituzione «più bella del mondo», ha voluto bue, di farsi toro e di dare qualche salutare incornata. L’unica occasione offerta di stringere in mano il manico del coltello e sentirci davvero sovrani o almeno, per qualche giorno, più sovrani dell’oligarchia che la fa da sovrana. È vero, caro Sommazzi: sciogliere una sola delle due Camere è pratica inusitata, ma non malvagia. E non crea i problemi che lei paventa: se un ramo del Parlamento ha una sua maggioranza e l’altro no, perché sacrificarli entrambi? Se le rimangono due mele, una buona e l’altra bacata, che fa, le butta tutte e due? Nel caso assai improbabile (il Palazzo teme le elezioni, figuriamoci se dimezzate) che fosse sciolta solo la Camera, una volta rieletta e se non intervengono intoppi questa poi resterebbe ovviamente in carica per tutti i cinque anni previsti. Nel corso dei quali saremo chiamati a rinnovare il Senato, procedendo di conseguenza a ritmi elettorali sfasati. Una sorta di elezioni di mezzo termine, come avviene negli Stati Uniti senza che nessuno mai abbia avuto da lamentarsene, e anzi.

E poi, insisto, è un’opportunità in più per noi elettori di dar cornate, di sentirci coinvolti, di riappropriarci di quella sovranità che la Costituzione «più bella del mondo» si compiace di concederci (per poi scipparcela).
Paolo Granzotto

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