In perenne attesa, Zio Vanja a tu per tu con il pubblico

Gli attori sono tutti già sul palco a sipario aperto, aspettano che gli spettatori finiscano di prendere posto per iniziare. Parlano tra loro, si vestono, guardano il pubblico in un'esplicita pratica scenica che vuole comunicazione diretta col pubblico. Questa è la struttura della scrittura scenica di Gabriele Vacis per il suo Zio Vanja. Sembra quasi di assistere ad una prova generale anche per la scelta di non abbassare mai completamente le luci di sala. Gli attori recitano il loro ruolo, ma riescono a guardare negli occhi anche gli spettatori coi quali creano un rapporto di istantanea complicità. Vacis punta tutto sull'essenzialità per questo presenta uno spettacolo privo di artifici e inganni, rimanendo costantemente in bilico tra illusione e disperazione, immerso nella rarefatta atmosfera cechoviana sospeso tra nostalgia e rimpianti in un affascinante scenario ricco di orpelli, tazze decorate, sedie di ogni stile ed epoca studiato con stile da Roberto Tarasco. La compagnia si occupa personalmente dei cambi di scena nonché di quelli d'abito che inizialmente sono vestiti contemporanei ma che con l'andare avanti della commedia diventano sempre più immersi nel contesto storico.
Nell'amalgama indifferente di personaggi in perenne attesa di qualcosa nulla sembra accadere (il che riporta Cechov ad un'anticipazione di Beckett di cinquant'anni), fino a che a rompere l'inesorabile immobilismo del tempo è l'arrivo della fatale bellezza di Elèna, la seconda moglie del professore Serebrjakov. È lei che scardina l'immobilità teatrale e psicologica dei personaggi ammucchiati sul proscenio, imponendosi come il reagente risveglio di sensi fin troppo repressi. E intorno a lei si muove la circolarità del disegno registico di Vacis che vuole portare la sua «messinscena» a scarnificare il testo fino all'osso, concentrandosi sul dramma di Vanja e di tutti gli altri, corrosi dall'ansia di vivere, ma intrappolati nei loro rimpianti. Peccato che a Lucilla Giagnoni manchino troppe prerogative per rendere credibile la sensuale Elèna, così come Eugenio Allegri sembra più impegnato ad essere Allegri che Zio Vanja.

Travolgente e beffardo è Michele Di Mauro nel ruolo del medico ubriacone Astrov, davvero brava Francesca Porrini che restituisce una Sonja intensa e delicata, che esprime con le corde di una voce smarrita il suo essere vittima destinata a soccombere per la gloria di qualcun altro.
Lo spettacolo è in programma alla Corte fino a domenica.

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