La prima volta che vidi recitare Lauretta Masiero non fu in teatro ma sul teleschermo, in un mirabile ciclo di spettacoli goldoniani dove un decano come Cesco Baseggio spadroneggiava in lungo e in largo con quella ridente bonomia, appena temperata da un accenno di sarcasmo, di cui oggi tanto rimpiangiamo la mancanza.
In un testo poco frequentato come La gastalda, Lauretta con la sua crocchia di capelli biondi spavaldamente rialzata sul capo riaffermava i diritti della donna con un vigore caustico non esente da una spietata autoironia quando, al gran finale, finiva per mettere a tacere tutti coloro - ed erano numerosi - che si erano opposti alle sue manovre. E da allora ho sempre pensato quanto abbiamo perso a vederla così di rado affrontare autori solo a prima vista lontani dal suo mondo espressivo. Dato che, con la sua maschera così particolare dominata da quegli occhi chiari che dimprovviso si accendevano dira repressa, sarebbe stata linterprete ideale non solo di tutti i Feydeau e i Labiche di questo mondo ma anche di certo Pinter più divertito che morboso e, soprattutto, di Ionesco. Pazienza!
In cambio, e per fortuna, labbiamo applaudita in una splendida edizione della Pappa reale, il piccolo capolavoro di Félicien Marceau dove teneva testa senza batter ciglio a una veterana come la Pagnani e, oltre che nel vaudeville dove eccelleva per una verve in punta di forchetta, in certi tragici ritratti pirandelliani. Dalla protagonista della Signora Morli una e due, una bigama soave e sorridente che non intendeva affatto rinunciare né alluno né allaltro focolare in cui divideva le sue attenzioni fino alla misera e strapazzata Gasparotta sposata per burla in Ma non è una cosa seria. Dove, di fronte a un partner consumato come Giulio Bosetti, spiccava per una dolente e patetica fierezza.
Eravamo negli anni Sessanta quando, con stupore di tutti, Testori nella Gilda del MacMahon, il suo splendido volume di racconti, le dedicò il più insolito degli omaggi. Trasportando di peso il suo ruolo pubblico di soubrette festosamente acclamata nel vivo di una narrazione che la vedeva come lidolo vivente di un giovanissimo fan. Tanto che quel felicissimo bozzetto intitolato «Ah... ma la Masiero!» da allora fu il suo poetico lasciapassare nellaccolita disparata e chiassosa degli intellettuali milanesi. Che continuarono ad amarla e a sostenerla persino quando, scandalo inaudito per lepoca, decise di interpretare accanto ad Arnoldo Foà un testo come Le notti di Milano in cui Carlo Terron, suo ammiratore per la vita, aveva creato su misura per lei una call girl che non si vergognava del suo mestiere affermando, senza falsi pudori, che «le professioniste del piacere sono le vestali delleros».
In unepoca in cui le ditte teatrali erano allordine del giorno, la Masiero non si risparmiò. Fu partner di Lionello e di Calindri, di Volpi e della Volonghi, esumò con spirito persino una pièce tacciata di pirandellismo deteriore come Non ti conosco più di De Benedetti e fu, con sottile perfidia, una delle indimenticabili Sorelle Materassi.
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