Perfino Napolitano s'è stancato delle bufale di "Repubblica"

Il Colle smentisce con una nota il giornale progressista che attribuiva al presidente la volontà di non firmare il decreto sull’articolo 18

Perfino Napolitano s'è stancato delle bufale di "Repubblica"

Roma - Tira una volta sulla giustizia, tira un’altra sul decreto salvaliste, alla fine la giacchetta di Giorgio Napolitano, che pure è di ottimo tessuto sartoriale e politico, si strappa sull’articolo 18. A cadere fragorosamente, travolto da una durissima smentita ufficiale, è il secondo quotidiano italiano, Repubblica. E al vicedirettore Massimo Giannini, autore dell’articolo, rimangono in mano brandelli di stoffa e una pesante accusa da parte del Colle: «È un tentativo di condizionamento». Insomma: Napolitano si è stufato delle manovre e delle pressioni subite «attraverso scoop giornalistici» farlocchi e lo fa sapere a tutti. Firma o non firma? Dopo l’ok presidenziale al salvaliste, il vecchio giochetto, quello di anticipare le scelte del capo dello Stato, è subito ripartito. Stavolta la domanda riguarda il «famigerato 1167-B» varato dal governo. Che farà Napolitano di fronte alle modifiche sulla legge sul lavoro? Darà il via libera? Rimanderà il testo alle Camere? Lo accompagnerà con una nota di spiegazioni? Repubblica non sembra avere dubbi, infatti spara così in prima pagina: «Lavoro, il no di Napolitano alla legge che evita l’articolo 18». C’è da dire che l’articolo è un po’ più prudente. Ma solo un po’. Giannini racconta di «un nucleo di valutazione del Colle, formato da Salvatore Sechi, Donato Marra e Loris D’Ambrosio» che starebbe studiando la materia. Il presidente della Repubblica, si legge, «non ha ancora preso una decisione definitiva», ma «allo stato attuale sembra intenzionato a non firmare la legge e a rinviarla in Parlamento con messaggio motivato per una nuova deliberazione». Un gesto che maturerebbe «secondo i poteri che gli assegna l’articolo 74 della Costituzione e che può attivare anche per provvedimenti non necessariamente inficiati da vizi palesi di costituzionalità». A sostegno di questa previsione, Giannini riporta una serie di opinioni di giuristi, costituzionalisti, giuslavoristi e sindacalisti che «suffragano le perplessità» e chiude citando brani di interventi più o meno recenti del capo dello Stato sull’occupazione» da cui esce fuori un Napolitano ovviamente preoccupato. Del resto, potrebbe essere il contrario? Potrebbe sostenere che la mancanza di lavoro è una buona cosa? Quando legge, il presidente s’infuria. Prima delle 11 le agenzie di stampa mettono già «in rete» il comunicato del Colle. «È priva di fondamento - c’è scritto - l’indiscrezione di stampa secondo la quale il presidente della Repubblica avrebbe già assunto un orientamento a proposito della promulgazione del disegno di legge 1167-B approvato dal Parlamento. Il capo dello Stato, nel rigoroso esercizio delle sue prerogative costituzionali, esamina il merito di questo come di ogni altro provvedimento legislativo con scrupolosa attenzione e nei tempi dovuti e respinge ogni condizionamento che si tenda ad esercitare nei suoi confronti anche attraverso scoop giornalistici». Fine. Stavolta si tratta di una nota ufficiale, e non della consueta precisazione morbida, con la formula «in ambienti del Quirinale si apprende che». No, queste sono poche righe ma puntigliose, da cui traspare tutta l’irritazione per il tentativo di essere messo come di fronte a un fatto compiuto. Al Colle si parla apertamente di «pressing indebito», tanto più grave in quanto compiuto non da una forza politica ma da un quotidiano. C’è fastidio anche per il risalto dato alla cosa, il titolo in prima e tutta la pagina nove. Napolitano, lo ha detto più volte, detesta i retroscena e i tentativi di «almanaccare sulle intenzioni». Lo «scoop» di Repubblica viene dunque visto non tanto come un articolo spericolato e poco documentato, quanto - e questo è l’aspetto considerato più grave - come una manovra politica, anche in vista della firma sul legittimo impedimento. Una tirata di giacchetta per la quale il quotidiano ha mandato in campo una firma importante, un vicedirettore responsabile del servizio politico. Ad aggravare il tutto, i precedenti: dalle fantasiose ricostruzioni del pensiero presidenziale sui temi della giustizia, all’articolo di domenica del fondatore Eugenio Scalfari che, esaltando tutte le volte che Ciampi aveva fatto la voce dura con il Cavaliere, indirettamente sottolineava una presunta debolezza di Napolitano. Senza contare il gioco di sponda dell’Idv, che ha subito detto: «Il presidente non firmi». Da qui la smentita «strappapelle» seguita alle 14 dalla replica di Giannini: «Nessuna pressione. La forte contrarietà del presidente mi è stata riferita da una fonte autorevole che aveva parlato con lui e confermata da un’altra fonte del Quirinale». Ora, prima di decidere, Napolitano si prenderà i suoi tempi: domani andrà in Siria in visita ufficiale, poi ci sono le Regionali.

È possibile che rimandi l’esame dei dossier sul 1167-B e sul legittimo impedimento al mese prossimo, come gli consente l’articolo 73 della Carta. Qualunque scelta avrebbe infatti un effetto sul voto. Che firmi o che non firmi.

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