Controcultura

Permunian, è impossibile vivere senza l'assurdo

Francesco Permunian è nato a Cavarzere (Venezia) il 21 febbraio 1951. "Giorni di collera e di annientamento" è il più romanzesco dei suoi libri.

Leggendo il nuovo libro di Francesco Permunian, Giorni di collera e di annientamento (Ponte alle Grazie), mi è tornata in mente una lettera che Witold Gombrowicz indirizzò al suo amico Bruno Schulz: «Avrei voluto confrontare Goethe stesso con sua zia, col suo polpaccio - avrei voluto, grazie al polpaccio, distruggere la vostra faccia da scrittore!». Ho nominato Gombrowicz non a caso, perché è uno dei fari che da sempre Permunian segue, e in particolare questa volta, pur non nominandolo mai (tornano nomi altrettanto familiari, da Manganelli ad Artaud). I motivi sono due. Da una parte l'irriverenza, il sarcasmo, lo sberleffo verso quel mondo di scrittori, o presunti tali, che Permunian ha sempre irriso, e in questo caso lo fa quasi con divertita esasperazione. Un'esasperazione che diventa autoironica, mettendo se stesso, o il personaggio che dice «io», al centro dell'atto d'accusa. Dall'altra parte la struttura stessa del libro, che si muove su tre movimenti che sono dapprima una rappresentazione - il palcoscenico grottesco e assurdo della vita -; poi la ricerca della causa di quell'assurdità, che sente di vivere prima di tutto nella propria testa (Chi sta parlando nella mia testa? è un altro titolo memorabile di Permunian); e infine la rassegnazione, quando anche l'individuazione delle cause non ha portato ad altro che all'ipocondria, ad aggiungere assurdo all'assurdo - un po' come le impossibili dimostrazioni logiche di Gombrowicz, che moltiplicava complicazioni a ogni sopraggiunto segno.

Il protagonista è, manco a dirlo, uno scrittore; anzi, un cantante che si è fatto convincere a scrivere un libro che malauguratamente vince lo Strega. Un premio che cambia la vita - in peggio. Perché ora il narratore lascia il sogno di diventare un tenore da operetta e comincia a lavorare nell'editoria, accorgendosi di quale atmosfera mortifera si respiri dietro le quinte della carta stampata. Una vita nuova che puzza di vecchio, di stantio, «l'editoria è talmente cambiata da assomigliare ormai a un librificio a cielo aperto in cui si ammassano le caccole sentimentali dell'intera penisola italiana. Comprese le mie, di caccole, beninteso». Per questo il narratore finisce per rifugiarsi nei suoi fantasmi, nei personaggi grotteschi che popolano il suo paese sulle rive del Garda. Un dentista in pensione che cura nonostante sia malato di Alzheimer; una puttana neonazista che lo porta a fare un pellegrinaggio sulla tomba di Mussolini; un uomo che ha sposato una bambola gonfiabile ma che sogna di chiavarsi l'altra che tiene nascosta in una stanza. Personaggi che sembrano usciti da Cosmo o Pornografia. Personaggi che diremmo irreali, se Permunian non credesse con tutto se stesso che l'irrealtà non è degli squinternati coi quali dialoga e con cui si trova a suo agio, ma di quel mondo editoriale che ha accettato il perbenismo, il ridicolo buon senso, un'ipocrita vita fatta di menzogne.

Questo è forse uno dei più romanzeschi libri di Permunian, che ha sempre prediletto la forma diaristica. Ma qui il romanzo è qualcosa di cui si serve per creare un'organizzazione illusoria (o illusionistica), servendola a chi crede che se un libro non è un romanzo non ha motivo d'esistere; per dare, una volta per tutte, ragione all'assurdo.

È come se con Giorni di collera e di annientamento Permunian avesse voluto dimostrare che questa vita che pure ci umilia, e ci degrada, e ci esaspera, non sarebbe tale, se fosse deprivata di quell'assurdità che la mette in continua contraddizione con se stessa, creando una collisione e una tensione: che insomma la fa essere.

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