Persecuzioni nell'indifferenza: gli islamici uccidono i cristiani

In Nigeria, Filippine e Irak massacri e brutali aggressioni. E il disegno terroristico degli integralisti va avanti. Frattini convoca l'ambasciatore nigeriano: "Fermare la strage"

Persecuzioni nell'indifferenza:  
gli islamici uccidono i cristiani

È stato un Natale di minacce, morte e sangue. È stato il triste e tragico natale dei Cristiani perseguitati di Nigeria, Filippine e Irak. È stato il Natale della rappresaglia messa a segno da un estremismo fondamentalista sempre più isolato e sempre più impotente, ma sempre più spietato nei confronti di deboli e inermi. Un terrore integralista ormai incapace di colpire Stati Uniti ed Europa, ma deciso a rifarsi perseguitando le minoranze cristiane di Medio Oriente, Africa e Asia identificate dalla propaganda radicale come simboli dell’identità religiosa e culturale dell’Occidente. In questo clima il Natale diventa per gli invasati dell’Islam il giorno delle vendette e della rappresaglie. Succede in Nigeria dove i fanatici della setta islamica dei Boko Haram massacrano sei cristiani durante l’assalto alle chiese di Maiduguri, una città di quella cintura centrale del Paese stretta e tra il nord musulmano e il sud cattolico. Un attacco simile viene messo a segno durante la messa di Natale anche nel sud delle Filippine. Lì i terroristi di Abu Sayaf, un’organizzazione legata ad Al Qaida, feriscono sei fedeli dopo aver fatto esplodere una bomba sul tetto di una chiesa dell’isola di Jolo. In Irak - dove Al Qaida aveva promesso stragi e dove le più importanti chiese avevano chiuso i battenti per il timore di attentati - pochi coraggiosi scelgono di sfidare paura e morte per santificare la loro festa più sacra. A Bagdad una quarantina di fedeli assistono alla messa di mezzanotte nella Chiesa di San Giuseppe, nel centro della capitale irachena. A mezzogiorno 300 fedeli visitano simbolicamente la cattedrale siro-cattolica dove lo scorso 31 ottobre le bombe e i kamikaze qaidisti hanno massacrato più di 50 fedeli. Ma quel Natale resta una celebrazione per pochi, un Natale per un pugno d’audaci pronti a sfidare il clima di angoscia, paura e rassegnazione in cui è sprofondata la maggioranza della comunità cristiana irachena.
La Nigeria, terra di stragi feroci, dove da decenni i cristiani pagano con il sangue la loro fede, si conferma anche in questo Natale come uno dei regni della persecuzione e dell’orrore. Questa volta i protagonisti indiscussi, gli artefici e gli esecutori della strage sono gli invasati del Boko Haram. In lingua hausa il loro nome significa «l’educazione religiosa è un sacrilegio». I suoi adepti fanno di tutto per dimostrarlo. Arrivano a decine armati di bastoni, bottiglie e machete, circondano una chiesa protestante di Maiduguri, fanno irruzione nella chiesa del pastore, lo trascinano fuori, lo fanno a pezzi. Nessuno osa fermarli, nessuno chiama esercito o polizia, nessuno muove un dito. Il pogrom non si ferma lì. L’obbiettivo successivo è la chiesa. Dentro i ragazzi del coro stanno preparando i canti per la messa di mezzanotte. Le voci di due di loro si spengono in un rantolo di orrore, gli altri saltano dalle finestre, cercano la salvezza fuggendo alla disperata nella strade circostanti. I Boko Haram non si danno per vinti. Ritornano fuori, danno la caccia ai fuggitivi, sfogano il loro odio su due passanti scelti a caso. Pochi minuti dopo le fiamme divorano la chiesa, la casa del pastore e i corpi delle vittime. Danjuma Akawu, il segretario del vescovo sfuggito alla morte saltando dalla finestra assieme ai coristi ripete il suo atto d’accusa: «La polizia non ha fatto nulla per proteggerci, perché nessuno qui aiuta i cristiani». Un accusa condivisa, dall’altra parte della città, dal reverendo Haskanda Jessu testimone di un analogo assalto alla sua chiesa, in cui viene massacrato il sacrestano. Per chiedere di fermare questi orrori il ministro degli Esteri Franco Frattini ha convocato l’ambasciatore nigeriano alla FArnesina.
La bomba fatta esplodere sul tetto della chiesa di Jolo, nel Sud delle Filippine è il controcanto asiatico della persecuzione africana. Le schegge di quell’ordigno, il sangue dei fedeli e del prete caduto ferito sull’altare raccontano di una guerra alla croce senza più confini e senza più latitudini. Una guerra globale in cui l’Islam integralista è alla disperata ricerca di un nemico da schiacciare nel sangue.

Un nemico inerme vittima non solo del machete e delle bombe fondamentaliste, ma anche dell’indifferenza di una società globale dove la difesa delle vite dei cristiani appare sempre più politicamente scorretta. E assai meno appagante di una entusiasmante campagna per la sopravvivenza dei panda.

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