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Valanga di insulti contro Arisa: cosa c'è dietro l'odio Lgbt

La cantante è stata ricoperta d'odio non solo perché ha lodato la Meloni ma soprattutto perché ha toccato uno dei dogmi degli ultrà arcobaleno: l'utero in affitto

Pioggia di insulti contro Arisa: cosa c'è dietro l'odio Lgbt

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Pioggia di insulti contro Arisa: cosa c'è dietro l'odio Lgbt

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“Vergognati”, “ci hai deluso”, “fai vomitare”, “dovevi stare zitta”. Ormai da giorni i social di Arisa sono invasi da commenti di odio e insulti. E cioè da quando la cantante lucana – intervistata da Peter Gomez nel programma La confessione – ha avuto l'ardire di esternare il proprio apprezzamento nei confronti del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Da quel momento la macchina dell'odio social è partita e non si è ancora arrestata.

Gli insulti vengono per la maggior parte dalla galassia Lgbt. E pensare che Arisa è da sempre nell’Olimpo delle celebrità arcobaleno, tanto che lo scorso anno era stata la madrina del Pride di Napoli. Ora, invece, Arisa è in cima alle lista di proscrizione degli ultrà arcobaleno. Gli organizzatori del Gay Pride di Milano le hanno chiaramente fatto capire di non essere la benvenuta alla manifestazione che si terrà il prossimo 24 giugno. Così, nel giro di un attimo, è stata rinnegata e ridotta al silenzio.

Sono stati inutili i tentativi della cantante di gettare acqua sul fuoco. Anche a Verissimo ha provato a chiarire. Ma il mondo social Lgbt non è intenzionato a perdonare. Non è disposto ad accogliere tra le sue fila alcuno che non accetti in modo integrale il pensiero unico. Figurarsi chi propone una visione diversa. Per questo Arisa è finita in una shitstorm che non accenna a calmarsi. La sua "colpa" non è stata solo quella di apprezzare le capacità politiche della Meloni. Si è macchiata di un peccato ancora più grave, mettendo in dubbio uno dei dogmi del mondo Lgbt: la legittimità della maternità surrogata. Durante l'intervista a Gomez, la cantante si è scagliata contro questa pratica definendola “antifemminista e contro le donne”. E ha rincarato: “Ho paura che tutto ciò diventi un commercio. Io non credo che un bambino possa essere acquistato come un paio di scarpe”. Opinione più che legittima, anche senza contare che in Italia (per fortuna) la maternità surrogata è illegale e, dopo il voto in commissione di mercoledì scorso, è a un passo dal diventare reato universale. Ma non per i talebani del Pride. Per loro è decisamente troppo da digerire. E così, come fanno sempre, hanno preferito la censura al dialogo.

Certo, è paradossale che a censurare i pensieri diversi siano proprio coloro che della diversità e del pluralismo hanno fatto una battaglia di vita. Purtroppo quello di Arisa non è un caso isolato. Anzi. Si conferma così il solito modus operandi di chi è talmente convinto di essere dalla parte giusta da non ammettere alcun tipo di confronto. Il paradosso non è sfuggito nemmeno ad Arisa che, ormai rassegnata, ha salutato il mondo Lgbt, non risparmiando una stoccata finale. “La diversità è fatta di opinioni, di esperienze e di modi di vedere la vita. La diversità è ricchezza. Me l’avevate insegnato voi”, ha chiosato la cantante. “Non condannate la gente perché non la pensa esattamente come voi, magari quella gente lì vi ama lo stesso”.

Una bella lezione ai talebani del pensiero unico, che – purtroppo – anche stavolta resterà inascoltata.

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