"Fate che io non fugga davanti ai lupi": Ratzinger e le sfide della Chiesa

Chi erano i "lupi" di cui Ratzinger parlò nel 2005 nella sua prima omelia da Papa e che lo hanno colpito?

"Fate che io non fugga davanti ai lupi": Ratzinger e le sfide della Chiesa

24 aprile 2005: Joseph Ratzinger è appena diventato Papa Benedetto XVI e nell'omelia della sua messa di insediamento il nuovo pontefice pronuncia parole che, lette a diciassette anni di distanza, danno il segno della visione per la Chiesa e il suo destino personale del Papa Emerito da poco scomparso. "In questo momento, io debole servitore di Dio - disse allora Benedetto XVI - devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana". "Pregate per me, perchè io non fugga, per paura, davanti ai lupi", aggiunse Ratzinger. Passare da maestro culturale del pontificato di Giovanni Paolo II, da stratega della teologia politico del Papa "missionario" e da uomo del retrobottega del potere a icona mondiale fu un grande shock per il dotto e colto cardinale tedesco. Conscio fin dall'inizio del suo mandato delle asperità che il suo pontificato e la Chiesa avrebbero dovuto subire.

Ratzinger di fronte alla Chiesa sotto assedio

La morte di Giovanni Paolo II aveva, in un certo senso, reso la Chiesa fragile di fronte all'assenza del suo "ombrello atomico": la maestosa figura del Papa perseguitato, in gioventù, da due totalitarismi (nazismo e comunismo) che aveva contribuito a porre fine alla Guerra Fredda, a aprire la Chiesa al mondo, a porre una diga valoriale, culturale e sociale alle ideologie del mondo globalizzato.

Papa Giovanni Paolo II, anche grazie al contributo essenziale di Ratzinger, con la sua teologia aveva abbracciato l'ecumene e evoluto la dottrina sociale della Chiesa sulla scia delle spinte post-conciliari, mettendo l'uomo, nella sua immagine di figlio privilegiato della Creazione ma anche di perno della società e della proiezione materiale della civitas Dei operante sulla Terra, al centro delle riflessioni. Il pontificato più "anticomunista" fu anche il pontificato dell'argine al neoliberismo imperante, al globalismo, all'ideologia del dominio dell'economico sull'umano. Terzo e più insidioso "totalitarismo" culturale teso a infilarsi nella società moderna anche per l'assenza di contropoteri ideologici e sociali. Che da allora in avanti avrebbero avuto, sempre di più, nella Chiesa un'audace fustigatrice.

Chi erano i "lupi" di Ratzinger?

La forza di Giovanni Paolo II consentiva di tenere assieme la visibilità della Chiesa, la finezza teologica ispirata da Ratzinger e la resistenza della barca di Pietro a scandali, problematiche e sfide che ogni collettività umana si trova giocoforza ad affrontare. Il "compito inaudito" di Ratzinger era proseguire l'operato di Karol Wojtyla in su assenza evitando che attorno a una Chiesa ferita si radunassero, attratti dall'odore del sangue, i lupi.

Lupi che per Francesco Boezi "sono soprattutto le ideologie del contemporaneo. Quelle che la dottrina cristiano-cattolica, anche con Papa Francesco, che ha spesso parlato di "colonialismo ideologico" in relazione a questi temi, continua a contrastare. Ratzinger era dunque invisto tanto quanto lo è la Chiesa cattolica al pensiero considerato prevalente nella nostra epoca".

Tutti gli attacchi e le strumentalizzazioni a Ratzinger

Ratzinger ha ereditato da Giovanni Paolo II la proiezione a fare della Chiesa un potere frenante, un katehon, contro lo sdoganamento del realtivismo culturale, della caduta dell'insegnamento cattolico, della fine dei corpi intermedi sociali, primo fra tutti la famiglia, che dalla benedizione della Fede hanno tratto linfa vitale.

I "lupi" si identificano, come dice correttamente Boezi, con le ideologie del progressismo fine a sé stesso, della modernità atea se non dissacrante che non vede il dialogo tra Fede e Ragione, peraltro centrale nel ragionamento di un Ratzinger che fu attento studioso di fisica quantistica e matematica, né un elogio reale della scienza, quanto piuttosto uno scientismo positivista come fine del suo agire. E al tempo stesso si identificano con i complessi politici e mediatici saltati alla gola del Papa tedesco prima e dopo le sue dimissioni. Ma anche con coloro che hanno voluto usare per fini di piccolo cabotaggio politico le parole del Papa rileggendole in chiave iper-reazionario.

A Ratzinger non è mai stato perdonato, in poche parole, essere Ratzinger: un uomo delle istituzioni ecclesiastiche, senz'ombra di dubbio, ma anche un bavarese figlio dei suoi tempi e della sua terra, in cui l'elasticità del pensiero e la profondità culturale convivevano con la rigidità dei modi e una percepita freddezza in realtà simbolo di un'umiltà, forse addirittura di una timidezza, propria di chi ha amato far accadere le cose anche agendo da numero due, non occupando il centro della scena.

Le "battaglie" per colpire o strumentalizzare Ratzinger

Sono stati lupi gli accademici e i collettivi studenteschi che hanno mosso guerra a Ratzinger a La Sapienza nel 2007, impedendogli di parlare. All'ex cardinale che nel 1990 aveva difeso Galileo Galilei dagli scranni dell'ateneo fu impedito di tornare a parlare per le accuse di presunta "islamofobia" per la discussa Lezione di Ratisbona del 2006. Dedotte da molti insgni studiosi - tra cui il futuro Nobel Giorgio Parisi - per un'errata interpretazione di citazioni riportate su Wikipedia, come il vaticanista Andrea Tornielli dimostrò dalle colonne di questa testata.

Furono altrettanto lupi intellettuali come Franca Rame che presentarono il Papa come un "ex nazista" per il fatto di esser stato arruolato nella coscrizione nazionale del Terzo Reich a fine seconda guerra mondiale come ausiliario nella contraerea". Storici del nazismo come Joachim Fest nel 2006, quando l'ex SS Gunther Grass vinse il Nobel per la Letteratura, difesero Ratzinger su questo, ricordando peraltro le parole profonde da lui pronunciate visitando Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006 "Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio".

Sono stai parimenti lupi coloro che, come i Legionari di Cristo, schermarono con la protezione del Papa pratiche complesse volte a coprire casi di abusi. Sono stati lupi anche i membri della Chiesa tedesca che, senza produrre prove sostanziali, hanno provato a demolire la figura di Ratzinger come Arcivescovo di Monaco e Frisinga provando a dimostrare la sua collusione coi casi di pedofilia nel territorio di sua competenza.

Lupi, dei più famelici, sono stati coloro che, soprattutto nei movimenti reazionari, hanno provato a minare l'unità della Chiesa contrapponendo Ratzinger a Bergoglio, utilizzando strumentalmente le tesi teologiche di Benedetto XVI per criticare ogni presa di posizione di Francesco e mirando a fare della Chiesa un'istituzione schiacciata unicamente sulle guerre culturali su temi come aborto, eutanasia e diritti degli omosessuali. Un messaggio, nota Ytali, "recapitato dalla destra americana, prima nella versione dei teocon, soffocati dalla contraddizione di coniugare la volontà di ripristino dei valori tradizionali con la salvaguardia di un modello americano basato proprio dell’edonismo individuale, poi con il nuovo fronte trumpiano, in cui sono le élite liberal e liberiste, per la prima volta congiunte nell’avversione del populismo trasversale di Bannon, messe nel mirino, per una vera crociata bianca, proprietaria, e identitaria". Steve Bannon e alti prelati come il cardinale Carlo Maria Viganò sono stati in primo piano in questa strumentalizzazione di Ratzinger.

Il duplice assedio

L'eminente teologo diventato cardinale, stratega di un pontificato e titolare della Cattedra di Pietro si è trovato dunque fin dall'inizio sotto attacco. Strumentalizzazioni, tentativi di attacchi ad personam, cariche a testa bassa contro il Ratzinger-pensiero hanno connotato un attacco alla Chiesa come istituzione passante per lo screditamento della sua figura apicale.

Convergente e parallelo l'assalto dei due alfieri della cultura figlia della fine della Guerra Fredda: il progressismo laicista e il conservatorismo identitario, tesi rispettivamente a colpire strumentalmente Benedetto XVI o a strumentalizzarlo per colpire gli avversari politici. Le dimissioni del Papa nel 2013 hanno disarmato, in un certo senso, i lupi. Il Ratzinger venduto come reazionario si scopriva innovatore e rivoluzionario. L'ombroso teologo si fece riconoscere come uomo umile e pragmatico. E da allora Benedetto XVI è stato più libero dall'assedio delle mute di "lupi" che attaccavano la sua figura e, con lui, la Chiesa. Pronto a rafforzare con il suo contributo culturale la marcia di Francesco, complementare alla sua.

Oltre ogni strumentalizzazione: per non appiattire sugli uomini che pro tempore la guidano l'immagine di un'istituzione come la Chiesa che ragiona in termini di epoche e, in prospettiva, di eternità. Riuscendo dunque a leggere e interiorizzare le sfide date dal segno dei tempi per rinnovarsi e affrontarle al meglio.

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