
La guerra a Gaza è diventata una triste moda? Non si vorrebbe mai arrivare a pensarlo, soprattutto perché sono coinvolti migliaia di bambini e di civili. Ma la sensazione è che ci sia chi, per seguire l'onda e non sentirsi escluso ma, soprattutto, per sentirsi considerato, usi il conflitto per cercare il consenso. Accade ai bassi come agli alti livelli, senza distinzioni, tanto più accade nella musica, dove sembra che i cantanti si siano improvvisamente innamorati della causa palestinese. Il 7 ottobre 2023 è la data di svolta del conflitto arabo-israeliano: con il suo attacco terroristico, Hamas ha scatenato una furente reazione da parte di Israele ma il conflitto a bassa intensità va avanti da anni e anni.
Ci si accorge solo ora che esiste un problema da quella parte del mondo? Ma soprattutto, perché ci si dedica anima e corpo solamente a quel conflitto, quando ne abbiamo uno letteralmente alle porte di casa nostra, in Ucraina, che sembra non interessare. Eppure anche lì muoiono donne, bambini, giovani e giovanissimi. Ci sono conflitti nel mondo che vanno avanti da decenni nel disinteresse globale, che però non possono contare sull'attenzione mediatica così massiva, non hanno "tutti gli occhi su..." o flotille che con l'appoggio dei politici, dei cantanti, degli attori, degli scrittori e di chiunque abbia più di 10mila follower tentano l'assalto per "rompere l'assedio". Pierò Pelù, casualmente nei giorni dei tumulti di piazza in Italia per la Flotilla, ha annunciato l'uscita di una canzone dedicata alla Palestina registrata in appena 10 ore in cui, tra le altre cose canta "Quando i bambini non mangiano, non giocano, non ridono, questa è la fine dell’umanità. La pace è l’unica vittoria sempre". E non la distriburà su Spotify perché, dice, ha legami con "armi e propagande di dittatori" (Israele). Anche in altre parti del mondo i bambini non mangiano e non giocano, però forse non hanno uguali diritti.
Un caso da manuale di instant marketing che fa il paio con le lacrime della collega Elisa, che quando Israele ha imposto lo stop alla Flotilla è anata sui social a piangere: "Adesso che hanno bloccato la Global Sumud Flotilla, allora portate voi gli aiuti, in poche ore. Portateli voi gli aiuti, perché stanno morendo". A parte che la Flotilla ci ha messo un mese ad arrivare a decine di miglia dalla costa di Gaza, quindi non pochi giorni. A parte che gli aiuti l'Italia li porta a Gaza da ben prima che la Flotilla si organizzasse e a parte anche che Israele ha dichiarato che la stiva era vuota, circostanza smentita dagli attivisti che però si sono rifiutati di consegnare gli aiuti al Patriarca di Gerusalemme che li avrebbe portati personalmente a Gaza senza passare da Israele. A parte tutto questo, mostrarsi così sui social: perché? Elisa potrebbe salire sulla barca di Carmen Consoli ad Arcitrezza e andare con lei a Gaza perché "non ho i mezzi del governo ma lo farei, convinta di avere il diritto di navigare in acque internazionali". Tutto questo, casualmente, durante la presentazione dell'ultimo album.
In tutto ciò come dimenticare Ghali e Clementino, secondo i quali i rapper che non si espongono su Gaza (ovviamente a favore, senza avere pensieri critici sulla questione) non valgono nulla. "Se sei un rapper e non parli di Palestina puoi anche smettere di avercela con gli sbirri", scrive Ghali, che in poche parole ha espresso la propria considerazione sulle forze dell'ordine, le stesse bersagliate e prese di mira con bombe carta, bastoni e lanci di oggetti nelle piazze dai pro Pal. "Qualsiasi artista che millanta di essere un rapper e usa un sacco di parole per riempire le strofe ma non dice un c...
o sulla Palestina non può definirsi tale", scrive ancora Ghali, a cui fa eco Clementino: "Dedicato a tutti i Rapper italiani, i ‘cosiddetti rapper delle classifiche' che non hanno detto una sola parola sul genocidio a Gaza: Mettiteve Scuorno". Chissà dove è finita la democrazia e dove è finita la libertà di pensiero e di espressione in questo Paese.