Massimiliano Cané: chi è l’uomo che dà voce alla memoria della TV italiana

Da figurante negli anni ’90 a firma di “TecheTecheTè” e “Uno Mattina”: Qualche domanda all’autore che trasforma l’archivio Rai in racconto popolare ed emozionale.

Massimiliano Cané: chi è l’uomo che dà voce alla memoria della TV italiana


Massimiliano Cané è un profondo conoscitore della televisione italiana. Ha iniziato il suo percorso nel mondo dello spettacolo nei primi anni ’90 come figurante in numerosi programmi, per poi approdare nel 2001 alla scrittura televisiva accanto a Paolo Limiti in “Ci vediamo in TV”. Oggi firma con passione e metodo le puntate di “TecheTecheTè”, autentico cult dell’access prime time di Rai1 e uno dei programmi più amati del servizio pubblico. Canè, durante la stagione invernale è anche autore del contenitore mattutino di successo “Uno Mattina” condotto da Massimiliano Ossini e da Daniela Ferolla (nel quale conduce anche un piccolo spazio sulla storia della tv ndr). Lo abbiamo intervistato per scoprire com’è nata la sua vocazione per l’archivio, per raccontarci dall’interno il dietro le quinte di un programma che, con il solo linguaggio delle immagini, riesce a parlare a generazioni diverse, ma anche la magia della memoria televisiva e il lavoro invisibile che la rende possibile e perché, nella TV che corre veloce, c’è ancora spazio per la lentezza della memoria.

Com’è nata l’idea originaria di “TecheTecheTè” e quando ha capito che sarebbe diventato un successo popolare?

“Il gioco della memoria ha sempre funzionato. Anche nei programmi che hanno preceduto TecheTecheTè – come Figure figure figure, Scanzonatissima, Videocomic – in cui gli spezzoni Rai c’erano, ma erano “appoggiati”, non inseriti in un vero racconto. Con il capostruttura dell’epoca facemmo una chiacchierata e alla fine venne fuori l’esigenza di creare una sorta di sceneggiatura della puntata; l’idea vincente è stata proprio quella di raccontare il repertorio, non solo di mostrarlo in maniera sterile”.

Lavorare con l’archivio RAI significa anche fare scoperte straordinarie. Qual è il reperto più raro o sorprendente che ha trovato?

“Sicuramente alcune edizioni del Festival di Sanremo – come quelle del 1966 e 1967 – che erano scomparse da oltre quarant’anni. Riproporle al pubblico è stato emozionante, quasi un atto di restituzione storica”.


C’è mai stato un momento in cui un suo personale legame affettivo ha influenzato la selezione del materiale?

“Il materiale che inserisco nelle mie puntate deve sempre avere un senso con quello che lo precede e con quello che lo seguirà. Ogni puntata segue una logica narrativa molto precisa che creo e monto come le tessere di un mosaico o di un puzzle. Il mio affetto per alcuni contenuti cerco di trasmetterlo a chi vedrà la puntata”.

“TecheTecheTè” ha raccontato l’Italia che cambia. Qual è l’evoluzione più evidente che ha notato nel linguaggio televisivo?

“La rapidità. Oggi tutto è più veloce: gli sketch, gli stacchi, i saluti. Il pubblico ha perso la voglia di aspettare e godersi certi momenti. La soglia di attenzione si è abbassata notevolmente”.


C’è una puntata che l’ha coinvolta emotivamente più di altre?

“- Per averti pagherei - dedicata a Mango. Durante il montaggio mi sono commosso più volte, soprattutto nella parte finale. Il giorno dopo, la telefonata di Laura Valente (moglie di Mango ndr) mi ha confermato che quell’emozione era arrivata anche a casa”.


Capita di non poter usare determinati contenuti per motivi legali?

“Sì, e non di rado. Alcuni artisti hanno posto dei vincoli anche su apparizioni molto datate: da Benigni a Montesano, da Celentano a Laura Pausini e Baglioni. In quei casi dobbiamo rinunciare, per rispetto e per evitare sanzioni”.

Come scegliete il tema delle puntate? E quanto tempo richiede la realizzazione di una puntata?

“Il tema può nascere da un’intuizione personale, da una canzone, o persino da una richiesta di un artista o dirigente. Ognuno ha il suo metodo: la mia vena creativa non si esaurisce davanti al computer io, ad esempio, spesso mi faccio ispirare ascoltando musica in macchina …come si usa dire adesso spesso mi “sblocca un ricordo”. Prendo appunti, costruisco la scaletta, seleziono le clip. Il lavoro è lungo e creativo”.

Negli archivi Rai si trovano veri e propri tesori: come bilanciate il materiale iconico – atteso dal pubblico – con clip meno note ma sorprendenti?

“Il grande pubblico spesso vuole rivedere le stesse cose, viste e riviste. Io opto per il materiale poco sfruttato, altrimenti non mi diverto”.

Quali artisti crede siano stati rivalutati o riscoperti proprio grazie a TecheTecheTè?

“Tutti quelli che passano da noi. Le puntate vanno in onda in estate, quando c’è meno concorrenza, e fanno ascolti molto alti. Questo genera nuova curiosità: alcuni vengono poi invitati nei programmi del pomeriggio. Le monografie che ho curato su Dalida, Mastelloni, Irene Fargo o Romina Power hanno avuto un impatto importante”.


In un’epoca dominata dai social e dai contenuti brevi, c’è ancora spazio per la lentezza della memoria televisiva?

“Temo di no, o comunque sempre meno. Ma c’è una nicchia di pubblico – attenta, fedele – che cerca proprio questo tipo di narrazione. Finché ci sarà, avrà senso continuare”.

Quanto conta oggi, secondo lei, un programma come TecheTecheTè nel panorama della TV italiana? È solo nostalgia o anche educazione storica e culturale?

“E’ sicuramente educazione storico televisiva, oltre che inevitabile nostalgia, specie per chi non ha avuto la fortuna di vivere gli anni d’oro della televisione italiana”.

Se potesse creare uno spin-off per le nuove generazioni, come lo immaginerebbe?

“Forse una versione più rapida, simile a uno spot. Ma la verità è che preferisco il formato attuale: 43 minuti sono perfetti per entrare in quel mondo magico che è la nostalgia. Oltre, rischia di diventare troppo”.


Con “TecheTecheTè”, Massimiliano Cané non solo costruisce puntate, ma compone emozioni, riattiva

ricordi, restituisce dignità alla storia della nostra televisione. In un’epoca dominata dalla frenesia, il suo lavoro ci invita – ogni sera – a fermarci, guardare indietro e, paradossalmente, capire meglio anche il presente…

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