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Un vero capitalista che non si vergogna della sua ricchezza (come scrisse Buzzati)

Il personaggio nacque nel 1947 dalla matita di Carl Barks. Fra l’Arpagone di Molièree il Grandet di Balzac, è diventato anche lui un classico, accumulando dollari.

Un vero capitalista che non si vergogna della sua ricchezza (come scrisse Buzzati)

Q uando, nel dicembre del 1947, Carl Barks ideò per Walt Disney il personaggio di Uncle Scrooge McDuck, di sicuro aveva in mente l'Ebenezer Scrooge protagonista del Cantico di Natale di Charles Dickens. E forse neppure l'autore avrebbe scommesso su una vita così lunga per la sua creatura, originariamente concepita per esaurirsi nel racconto d'esordio, quel Christmas on Bear Mountain, tradotto in italiano col titolo di Paperino e il Natale sul monte Orso. I personaggi dei fumetti, però, vivono di vita propria. Crescono, si sviluppano, assumendo nuove forme e modificando il loro carattere. Di avari sono pieni la letteratura e il teatro. Dal plautino Eucline, all'Arpagone di Molière, al Todero di Goldoni, al Grandet di Balzac. Paperon de' Paperoni - il cui nome italiano si deve a una geniale intuizione di quell'insuperato direttore di Topolino che fu Mario Gentilini - non è un loro fratello minore. Forse, come sosteneva il fumettista veneto Piero Zanotto, è più strettamente imparentato con il goldoniano Sior Todero brontolon, anche lui, in fondo, un simpatico avarastro... Adesso che Paperone è giunto al suo settantacinquesimo compleanno, la casa editrice Panini, che ha in Italia l'esclusiva dei Paperi, farà festa grande. Sui periodici del gruppo, con storie inedite e ripubblicazioni di classici ma, soprattutto, rieditando due capolavori del genere, in cartonato da collezione. Si tratta di Vita e dollari di Paperon de' Paperoni e de La saga di Paperon de' Paperoni di Don Rosa. Il primo merita alcune considerazioni. Uscito in origine per gli Oscar Mondadori, nel lontano 1968, comprende sette vecchie celebri storie di Carl Barks pubblicate tra il 1949 e il 1954. La nuova edizione, contrariamente all'originaria italiana, che era in bianco e nero, è interamente a colori e presenta ciascuna storia corredata da un ampio apparato redazionale inedito. Tuttavia, nell'edizione Panini mancano due cose che impreziosivano notevolmente il testo originario: la prefazione di Dino Buzzati e l'introduzione di Mario Gentilini. È un vero peccato, in quanto Gentilini è una miniera di informazioni. Ci dice, per esempio, che in Italia esisteva un «frate Paperone de' Paperoni, domenicano trasferito dalla cattedra di Foligno, il giorno 21 luglio dell'anno 1282...». Specialmente Buzzati, però, tratteggia un profilo perfetto del nostro multimiliardario, fornendo una lettura politica del personaggio, di grande attualità. Dopo aver definito Paperone e Paperino «tra le più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni», sottolineandone «la vertiginosa fantasia e ingegnosità delle vicende, in un mondo dove la regola quasi sovrana dei romanzi è la noia», l'autore del Deserto dei Tartari spiega perché Paperone sia sempre divertente e simpatico. Scrive: «è uno spilorcio al mille per cento. In fatto di dollari non ammette debolezze o eccezioni, mai. Se è di buon umore vuol dire che è in arrivo un buon carico di sestilioni, se ha la luna vuol dire che gli è stato sottratto qualche cent. Se è generoso - raramente ma capita - è generoso perché la poca grana che sgancia è servita, o servirà, a guadagnare cento, mille volte tanto». Se Scrooge era odioso, Paperone è simpatico per due ragioni: «pur essendo il re degli arpagoni, non è arido come Scrooge. È capace di soffrire, di piangere, e quando piange (per la perdita di un soldo) fa pena come un bambino maltrattato. Secondo: lo rende simpatico la sua eroica fermezza e inflessibilità d'avaro. Nel nostro mondo industriale, dove tutti i ricchi sembrano vergognarsi dei loro capitali, e si allineano con la cultura di sinistra, e invitano alle loro feste coloro che proclamano apertamente la loro intenzione di spogliarli, è confortante incontrare un plutocrate che, senza pudori, ostenta lo splendore dei suoi miliardi, e se li tiene bene stretti, determinato a non farne parte con nessuno, e disprezza i poveracci che non sono stati capaci di fare quello che ha fatto lui. Una carogna, un maledetto, un mostro. Però un capitalista di carattere, che sarà odiato, ma in fondo rispettato molto più dei colleghi pusillanimi e camaleonti». Troppo vero e attuale per ripubblicarlo nell'anno del Signore 2022...

In compenso, integrale è la grande saga di Don Rosa, il vero erede di Carl Barks che, in due anni di intensissimo lavoro, tra il 1991 e il 1993, realizzò in 212 magnifiche tavole l'appassionante biografia del papero più ricco del mondo. Bellissimo, anche per le tavole.

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