Caterina Proietti
Perugia - Operazione «Fantasma». Così i carabinieri dei Nas di Perugia avevano chiamato l’inchiesta nata per scovare presunti «furbetti del cartellino» all’ospedale Santa Maria della Misericordia. Nove mesi di indagini, intercettazioni telefoniche, una telecamera nascosta installata vicino alla macchinetta per timbrare i badge, dodici arresti, sessantotto indagati a piede libero, accuse di falso in atto pubblico e truffa aggravata. Nella rete delle indagini, non ancora finite e coordinate dal pm Giuseppe Petrazzini, sono finiti diversi medici, tecnici di laboratorio, capisala, universitari e impiegati. Persone che secondo l’accusa facevano jogging, andavano in palestra o mandavano avanti il negozio di famiglia invece di stare al lavoro. Unica nel suo genere per le proporzioni, questa inchiesta doveva essere la chiamata alle armi contro l’assenteismo nelle amministrazioni pubbliche. Il terremoto che avrebbe dovuto sgretolare il substrato di cartellini «facili» e colleghi compiacenti. Invece a distanza di più di sei mesi è difficile individuare i vincitori e i vinti. Qualcuno è passato al contrattacco citando l’azienda ospedaliera per mobbing, altri hanno avuto la solidarietà dei colleghi, e tutti sono tornati al lavoro. Ad eccezione di due, ora in pensione. L’ultimo capitolo lo ha scritto la Cassazione. «Il 15 gennaio - riferisce Giancarlo Viti, legale di uno dei medici - la Corte ha riconosciuto che il reato di falso pubblico e insussistente, quindi il pm chiederà l’archiviazione». «Man mano si stanno avendo le stesse sentenze anche per gli altri», aggiunge l’avvocato Giuseppe Caforio. Rimane ora in piedi solo l’accusa di truffa. L’azione legale più dura è stata però quella di Luciana Rafia, la caposala da cui è partita tutta l’inchiesta. Venne arrestata nel 2006 insieme a due sottufficiali dei carabinieri, chiamati in causa dal magistrato per avere timbrato il badge all’amica e parente. Ora la donna accusa la vecchia direzione ospedaliera di averla mobbizzata e di essere stata inspiegabilmente messa da parte, fino al punto di sprofondare in una forte depressione, causa dei ritardi e dell’uso non corretto del cartellino contestato dalla Procura.
I presunti «fantasmi» sono stati invece reintegrati al lavoro su disposizione dello stesso gip Paolo Micheli, il quale si è pronunciato a favore del loro ritorno in ospedale neanche un mese dopo dalla richiesta di custodia cautelare (due finirono in carcere, gli altri ai domiciliari) a cui venne affiancata l’interdizione ai pubblici uffici. «Ricoprono altre mansioni», spiega senza troppi giri di parole Mario Mariano, addetto stampa del Santa Maria della Misericordia. Ad esempio? «Chi lavorava nell'amministrazione A è stato spostato all’amministrazione B». Il direttore generale, Walter Orlandi, sceglie invece il silenzio. Cerca di trainare la barca a largo dell’occhio del ciclone. È impegnato a ricostruire il clima di fiducia. Ma prima ha varato un piano straordinario anti-assenteismo da vero «ghostbuster» o semplicemente da dirigente: nuovi badge non duplicabili costati circa 4.600 euro, controlli incrociati di caposala e primari sulle presenze e un massimo di tre permessi al mese. Regolamento contro cui c’è stata la levata di scudi dei sindacati che hanno radunato in assemblea centinaia di dipendenti per chiedere modifiche, in parte poi accordate. «In fondo - dice il segretario provinciale Uil Fp - il direttore non si è inventato niente, la responsabilità dei capistruttura è prevista dalla legge 165». Su altri binari si sono mosse le istituzioni. La Regione Umbria ha preferito istituire due commissioni d’inchiesta: una della Giunta e una del Consiglio. Al 1° febbraio 2008 - sei mesi dopo lo scandalo - nessuna delle due ha ancora concluso i lavori.
«Mancano solo i punti e le virgole», precisa la dottoressa Conti della prima commissione. Nel frattempo hanno entrambe ascoltato per due volte gli stessi dirigenti e quella della Giunta ha pure nominato un consulente esterno emiliano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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