Pesce, pastella e fantasia La frittura che sa di mare

Pesce, pastella e fantasia La frittura che sa di mare

La classica di calamari e gamberi o quella mista di paranza: la frittura di pesce, per i romani, è il simbolo gastronomico della bella stagione. Un piatto con cui assaggiare il mare dopo l’inverno. Al ristorante o in casa. Prepararla è un’arte. Per farcene svelare i trucchi ci siamo rivolti a Giulio Terrinoni, classe 1975, curriculum d’eccellenza nei migliori hotel capitolini, dallo Sheraton all’Es, ora chef di Acquolina (via Antonio Serra 60; 063337192). Sarà lui a guidarci nella preparazione di un fritto croccante, leggero e rispettoso della stagionalità. «In questo periodo - spiega - la frittura si può fare con gamberi bianchi, merluzzetti e triglie. Bene i calamari, meglio italiani, bianchi, che francesi, che tendono al rosso. Si possono aggiungere occhi di canna, ossia piccoli polipetti, e pennette».
Come si sceglie il pesce?
«L’occhio deve essere lucido e vivo. La carne soda. Per valutarla, lo prendo per la coda: lo compro solo se rimane dritto. I gamberi costano 22 euro al chilo. Le triglie di scoglio sui 25/30 euro al chilo, di sabbia 20, come calamari, occhi di canna e pennette. I giorni migliori per comprare sono martedì e venerdì, tenendo presente che si tratta della pesca della sera prima. Quindi, se si vuole andare al ristorante per mangiare pesce freschissimo, lunedì e giovedì sono serate ideali».
Passiamo alle quantità da acquistare.
«A testa sono 150 grammi edibili per ogni specie in frittura, con uno scarto del 30 per cento. Non è necessario rispettare le proporzioni. Si può mettere un solo merluzzo e abbondare con gli occhi di canna, per esempio. Acquistato il pesce, si porta a casa e si pulisce. Non va lavato sotto l’acqua corrente ma messo in un’insalatiera con acqua e un pizzico di sale».
Ed ecco la frittura vera e propria.
«Si prepara la pastella con 250 grammi di farina doppio zero, 50 di manitoba, 150 di acqua frizzante, 30 di fecola, una birra da 250 cc, un goccio di aceto e sale. Ai liquidi si aggiunge la farina, mescolando lentamente. Va bene per tutti i pesci, tranne occhi di canna, pennette e calamari, che devono essere solo infarinati».
Un trucco da chef?
«Gli ingredienti della pastella devono essere freddissimi e questa va conservata a freddo con acqua e ghiaccio. La croccantezza del fritto dipende dallo shock termico che si riesce a creare con l’olio bollente. Poi si passa ai fornelli. L’olio deve essere a circa 170°. Sarebbe meglio cucinare ogni tipo di pesce a parte, ma si possono abbinare le pezzature simili. Una buona frittura non è rosa - sarebbe stracotta - ma bianca. Cotto, il pesce si passa in un colafritto e si asciuga bene, senza coprirlo con la carta, perché tra due fogli si crea l’effetto camera a vapore che lo lessa».
Qualche segreto per rendere ancora più appetitoso il piatto?
«Mettere alici in crosta di pistacchi: basta aggiungere questi ultimi alla classica panatura. Bene la combinazione con fritto vegetale, in particolare carciofi e erbe come timo, erba cipollina, prezzemolo e basilico. Per decorare, fili di agrumi, sottili e fritti. E poi un consiglio più generale: non mangiare prima la pasta, che sazia e rischia di non far gustare a pieno la frittura. Meglio semmai invertire le portate e concludere la cena con il primo».
Come si recupera il fritto avanzato?
«Si può fare in carpione. Si fanno bollire aceto, una foglia di alloro, pepe in grani, sale, vino bianco e un pizzico di zucchero. Raffreddato il composto, vi si lascia il pesce per quattro ore.

Poi si toglie e si mette sott’olio. Si conserva un paio di giorni».
Manca solo il vino...
«Bollicine, se si offre il fritto per aperitivo. Altrimenti un bianco, dal Verdicchio dei Castelli di Jesi al Sauvignon Conte della Vipera».

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