Milano - Non una bella notizia, dopo aver faticato per 148 chilometri da Livorno a Rosignano, prima tappa della Tirreno-Adriatica iniziata ieri. Qualcos’altro a cui pensare, oltre a scatti, avversari da «marcare», fughe e sprint con vista sul traguardo. Alessandro Petacchi, attualmente il più forte velocista italiano delle due ruote, l’erede - per intendersi - di Mario Cipollini, passa di filato dalle cronache ciclistiche a quelle giudiziarie. Il suo nome, infatti, compare in un’inchiesta del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano, per una storia molto italiana. Frode fiscale.
Così fanno in molti. E l’elenco delle celebrità finite nei pasticci per una gestione «allegra» del proprio patrimonio è lungo. Né mancano gli sportivi. Dal primo, Diego Armando Maradona (che non poteva mettere piede in Italia senza trovare il comitato di benvenuto delle Fiamme gialle), fino ai più recenti Alberto Tomba, Valentino Rossi, Fabio Capello, Vitantonio Liuzzi (il pilota di Formula 1 al volante della Force India), e Davide Rebellin, altro asso del ciclismo italiano. Ora, tocca a Petacchi. Secondo le Fiamme gialle, infatti, l’atleta - che ha da poco firmato un contratto biennale con la squadra Lampre-Farnese Vini, dopo aver militato dal 2008 nella Lpr Brakes Ballan - avrebbe messo da parte nel tempo un discreto patrimonio in nero, facendosi pagare estero su estero attraverso una fiduciaria olandese alcune sponsorizzazioni e parte dei diritti di immagine, per un valore complessivo di circa 2 milioni e 800mila euro. Denaro nascosto al fisco italiano e su cui ora l’Erario intende compiere accertamenti. Petacchi, dunque, rischia sanzioni tributarie e penali.
Ma per un nome di richiamo che finisce nella rete tesa dagli investigatori della Guardia di finanza, ce se sono molti - e sono decine - che un nome conosciuto ai più non ce l’hanno, ma che ugualmente attingono alla pratica diffusa delle contabilità parallele e illegali. Solo ieri, a conclusione di un’altra indagine, i militari del Nucleo di polizia tributaria hanno portato a termine un’ottantina di perquisizioni in tutto il Paese (in Lombardia, in Emilia, nel Veneto, nel Lazio e in Campania), a carico di 53 imprenditori e 16 studi professionali. Il meccanismo è sempre lo stesso: false fatturazioni per alleggerire il proprio carico fiscale. Al centro dell’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Gaetano Ruta e Laura Pedio, c’è la «Brook&K Europe», una società londinese il cui nome era emerso dopo l’arresto di Giuseppe Grossi, l’imprenditore finito in carcere nell’ottobre scorso proprio per false fatturazioni legate ai lavori di bonifica del quartiere milanese di Santa Giulia. La «Brook&K Europe», priva di effettiva operatività, era intestata a un prestanome inglese. Ma gli amministratori, di fatto, sarebbero stati Vincenzo Agosta e Matteo Terragni, consulenti della fiduciaria Getraco di Lugano, da cui la «Brook» era gestita. E proprio a questa Getraco si rivolgevano commercialisti e imprenditori per abbattere la base imponibile e creare provviste in nero all’estero. La fiduciaria, attraverso una serie di società create ad hoc, faceva emettere fatture fittizie per svariati servizi di consulenza in realtà mai forniti o di valore di molto inferiore all’importo dichiarato. Le fatture venivano pagate tramite bonifico bancario e il denaro veniva poi «retrocesso» agli imprenditori su conti cifrati in istituti bancari esteri. E così, nel registro degli indagati ci finiscono in ottanta, accusati a vario titolo di dichiarazione fraudolenta, dichiarazione infedele, emissione di fatture false e riciclaggio. E se per Petacchi si parla di una frode da poco meno di 3 milioni, questo ulteriore giro di denaro sfonda quota 100.
Cento milioni di euro che hanno viaggiato tra Austria, Regno Unito, Olanda, Lussemburgo, Svizzera e vari paradisi off shore, creando riserve occulte di liquidità lontane dalla morsa del nostro Fisco. Un tesoretto all’estero, per mantenere un alto tenore di vita in Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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