da Sanremo
Basta la fotografia. Basta guardarla. Pozzato felice, con i suoi riccioli biondi che spuntano maliziosi fuori dal caschetto, a braccia al cielo, alle sue spalle Petacchi con le mani sul volto in segno di disperazione, e dietro ancora Tom Boonen, regale, imponente, con la sua maglia iridata a risplendere in una giornata uggiosa, braccia al cielo pure lui. In casa Quick Step, la formazione di Pozzato, Boonen e Bettini è festa grande. In quella di Petacchi c'è solo l'amarezza per una vittoria mancata per un niente, per quel fattore fortuna che ti può far girare il vento dalla parte giusta o sbagliata. «Cosa posso riproverarmi? Nulla - dice laconico Petacchi, il grande battuto -. È una sconfitta che brucia, ma so anche che io su questo traguardo ci tornerò tra un anno, con la stessa intenzione, quella di vincere. La squadra è stata fantastica, ha lavorato molto e bene. Onore al merito a Pippo: ha fatto tutto bene, soprattutto negli ultimi 350 metri. Ha fatto una progressione degna di nota, anch'io però non sono stato niente male». C'è stata anche la risposta di Zabel, leale fino alla fine, che ha lavorato come aveva promesso. «Io non avevo assolutamente dubbi - ribatte Petacchi -. Il problema era degli altri, non il nostro. Erik è un grande corridore, ma soprattutto un grande uomo, che sa il significato di squadra. Nel finale mi è venuto vicino e mi ha detto: Peta, come stai?. Molto bene, gli ho risposto. Io per te, ha replicato lui. E così è stato.
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