La petizione Dopo il Lodo Alfano le toghe tirano Napolitano per la giacca

MilanoTirano per la giacca il presidente Napolitano. Con un appello, forte, ad intervenire in difesa della magistratura. E contro Berlusconi. «Abbiamo bisogno delle sue chiare parole - scrivono i giudici in una lettera per ora riservata - ne ha bisogno il Paese». La tesi del documento, due paginette in tutto, è netta: il Cavaliere sta azzoppando la democrazia.
Le toghe partono offrendo la loro solidarietà a Napolitano «in relazione a quanto accaduto dopo la sentenza della Corte costituzionale sul cosiddetto Lodo Alfano». Il riferimento, sottinteso, è alle parole del premier che se l’era presa con il Colle e con la Consulta dopo il verdetto che ha fatto a pezzi lo scudo votato dal Parlamento per le più alte cariche dello Stato.
Poi il bersaglio diventa esplicito: «Le sono noti i numerosi e recenti episodi che ormai si succedono con intensità crescente e che vedono la magistratura italiana accusata dal Capo del Governo, da altri esponenti dell’esecutivo e da vari parlamentari appartenenti allo schieramento di maggioranza».
In effetti la mischia, quasi quotidiana, sulla giustizia ha avuto un pericoloso crescendo nelle ultime settimane. I giudici, dopo aver parlato del Lodo Alfano, passano al Lodo Mondadori e alle vicende che hanno come protagonista Raimondo Mesiano, il magistrato autore del discusso verdetto che condanna la Fininvest a risarcire con 750 milioni di euro la Cir di De Benedetti. «Pochi giorni fa - prosegue il testo che sta girando nei diversi uffici giudiziari del Paese - addirittura il giudice che aveva emesso quella sentenza è stato oggetto di odiosa attività denigratrice, condotta con metodi inauditi: il giudice, cioè, è stato pedinato, spiato con l’uso di telecamere e pubblicamente denigrato perché, soggetto soltanto alla legge, aveva emesso una sentenza sgradita. Non crediamo sia mai successo prima».
A questo punto gli estensori dell’appello, già sottoscritto in calce da decine di Pm, giudici, giuristi e professori universitari, arrivano al cuore del problema: «Nello scrivere pensiamo ad un potere dello Stato svillaneggiato e vilipeso a causa di decisioni sgradite; pensiamo al prestigio ed all’autorevolezza della magistratura italiana quotidianamente erosi...; pensiamo all’effetto intimidatorio che queste offese rivestono nei confronti di chi, giurando sulla Costituzione, ha scelto come stella polare del suo agire il solo ossequio alla legge».
I toni, insomma, sono drammatici. Apocalittici. Emergenziali. Più affilati di quelli della stessa opposizione. I magistrati, si dicono preoccupati per il «destino della democrazia italiana resa zoppa da attacchi ingiuriosi ed impensabili persino ove vigono sistemi che non sono fondati, come il nostro, sulla separazione dei poteri». Le accuse, come si vede, sono durissime: Berlusconi sta calpestando l’abc delle regole.
E allora il «partito dei giudici» si rivolge direttamente al Capo dello Stato, baluardo della democrazia: «Non è più tempo di inviti, anche se alti e autorevoli, al riserbo e alla sobrietà, rivolti «agli uni e agli altri», a magistrati e politici: anche le recenti vicende, infatti, nuovamente dimostrano come solo una parte sia responsabile della loro violazione».
La diagnosi è chiara: la deriva che sta affondando la giustizia italiana è provocata solo dal premier e della sua parte politica. È dunque Berlusconi, secondo gli estensori del documento, che deve rientrare nei ranghi e darsi una regolata. E, par di capire, l’unico che può strigliarlo a dovere è il Presidente della Repubblica. «Vi è bisogno di altro - è la conclusione - per segnalare ai cittadini italiani l’assoluta abnormità della situazione descritta e per sperare in un minimo di ripensamento in chi così apertamente mostra di ignorare il significato del principio democratico della separazione dei poteri. Signor Presidente, abbiamo bisogno delle sue chiare parole.

Ne ha bisogno il Paese».
Moltissime le firme già raccolte. Forse, già oggi il testo verrà inviato al Quirinale. E diventerà formalmente pubblico. Provocando, è facile prevederlo, l’ennesimo cortocircuito fra politica e giustizia.

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