Washington - L'America tira il freno sulla riduzione delle truppe in Iraq. Il comandante militare sul campo, il generale David Petraeus, nel far rapporto al Congresso ha parlato di numerosi progressi, ma li ha definiti "fragili e reversibili". Per questo chiederà uno stop al rientro dei soldati al presidente George W.Bush, che giovedì annuncerà le proprie decisioni in un discorso alla Nazione. L'esortazione a una frenata è arrivata nel corso di un'attesa audizione in Senato, che ha rispettato le previsioni sul piano dell'analisi della situazione in Iraq e della denuncia di un ruolo "distruttivo" da parte dell'Iran. Il Pentagono - o quantomeno i suoi generali sul campo - chiede prudenza nel diminuire le truppe, specialmente alla luce della ripresa delle violenze degli ultimi tempi, che hanno provocato la morte di 11 militari americani solo negli ultimi due giorni.
Il peso della campagna elettorale Ma le raccomandazioni stavolta arrivano nel pieno della campagna elettorale. I candidati alla Casa Bianca si sono dati appuntamento in Senato, per approfittare della visibilità dell'evento, e hanno confermato di essere arroccati in trincee contrapposte. Il repubblicano John McCain esorta a tener duro e avverte che, se l'America molla adesso, l'Iraq precipiterà in "una guerra civile che può diventare genocidio". La democratica Hillary Clinton, sua collega nella commissione Forze armate, ha ribattuto di fronte a Petraeus che è invece l'ora di metter fine a un'avventura militare costosa e dare il via "a un ritiro sistematico" delle forze. Sulla stessa linea il suo avversario per la nomination, il senatore Barack Obama. I democratici, che controllano il Congresso dal gennaio 2006, non sono riusciti per ora a frenare la guerra voluta da Bush e ritengono che ormai l'unica possibilità di una svolta passi dalla conquista della Casa Bianca. Ma il nuovo presidente che il 20 gennaio 2009 prenderà il controllo del paese, si troverà costretto a decidere cosa fare di un contingente militare americano in Iraq che, con ogni probabilità, sarà assai più consistente di quanto speravano la Clinton e Obama.
Oltre 160mila soldati in campo Le truppe americane hanno raggiunto nel giugno 2007 quota 160.000, con l'invio di 30.000 rinforzi chiesti da Petraeus. Grazie alla loro presenza, ha spiegato il generale al Senato, in questi mesi "il livello della violenza e delle morti di civili é stato ridotto in modo sostanziale" e Al Qaida ha ricevuto "duri colpi" nel paese. Ma i progressi sono stati definiti da Petraeus "significativi ma non omogenei" e gli eventi delle ultime due settimane, con la ripresa delle violenze soprattutto da parte delle milizie sciite, hanno ricordato "che i progressi sono fragili e reversibili". Per questo, quando a luglio sarà completato il rientro di 20 dei 30.000 militari di rinforzo arrivati lo scorso anno, secondo il generale è necessario "un periodo di consolidamento e valutazione". Un arco di tempo che Petraeus ha inizialmente indicato in 45 giorni. Ma sotto il fuoco di fila delle domande del presidente della commissione, il democratico Carl Levin, il generale ha ammesso di non poter indicare quando il ritiro riprenderà. "Quello che lei sta raccomandando - ha commentato Levin - è un piano che non ha una fine". Ed è probabilmente il piano che Bush presenterà giovedì agli americani. Le conseguenze sono che alla fine del 2008, quando l'America avrà un nuovo presidente designato, in Iraq potrebbero esserci ancora circa 140.000 militari Usa, diecimila in più di quanti erano presenti all'inizio del 2007. "Il prossimo presidente non avrà le mani legate", ha promesso l'ambasciatore Usa a Baghdad, Ryan Crocker, che è impegnato nelle trattative con il governo iracheno sul futuro della presenza americana nel paese e ha escluso di stipulare patti per creare basi permanenti in Iraq.
Ammonimenti all'Iran Dall'audizione di Petraeus in Congresso sono emersi anche ammonimenti all'Iran.
Nella ripresa delle violenze sciite degli ultimi tempi, il generale vede un nuovo segnale "del ruolo distruttivo che l'Iran ha giocato nel finanziare, armare e dirigere i cosiddetti Gruppi Speciali". Queste forze sciite, secondo il generale, rappresentano oggi "la più grande minaccia di lungo termine alla funzionalità di un Iraq democratico".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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