Petrolio, ora la paura fa 70 (dollari)

In Italia scattano rincari della benzina e i prezzi superano la soglia di 1,3 euro in quasi tutta la rete distributiva

Rodolfo Parietti

da Milano

Più petrolio: lo promette l’Opec, lo garantisce il principale attore protagonista della scena energetica mondiale, l’Arabia Saudita. Ma non subito, tra qualche anno, verosimilmente tra il 2009 e il 2010. Troppo tardi per i mercati, che continuano a ragionare con prospettive di brevissimo respiro e a osservare con occhio sempre più preoccupato l’evolversi del braccio di ferro tra Stati Uniti e Iran, mentre la Nigeria resta una fonte di instabilità e tutti i report puntano in un’unica direzione: quest’anno, le principali economie industrializzate e la Cina cresceranno a un ritmo più sostenuto rispetto al 2005. Dunque, la sete di greggio aumenterà.
C’è insomma quanto basta per soffiare sul fuoco delle quotazioni, in un gioco speculativo in cui i fondi comuni (in particolare gli hedge fund), potendo sfruttare la debolezza del dollaro, costituiscono il fulcro. Regge ancora il record dei record, quello stabilito alla fine dell’agosto scorso a New York dal greggio Usa durante la fase più violenta dell’uragano Katrina. Ma se le cose continueranno così, anche il tetto dei 70,85 dollari prima o poi sarà sfondato, visto che ieri il Wti ha raggiunto un massimo di 69,45 dollari e il Brent ha stabilito un nuovo primato assoluto a 70,07 dollari. In un solo mese, i rincari del greggio americano sono stati superiori al 15% quelli dei future europei del 17%. Gli esperti spiegano il «sorpasso» effettuato dal greggio di riferimento per l’Europa con i disordini in Nigeria e con il fatto che i due terzi dei prezzi petroliferi sono basati sui contratti del Brent. Quanto ai mercati, le notizie provenienti dal delta del Niger conservano un peso rilevante visto l’impatto sulle compagnie petrolifere presenti nella zona. Metà della produzione della Shell, per esempio, è assicurata dal Paese africano. Dal febbraio scorso tuttavia, in seguito agli attacchi ai pozzi da parte dei ribelli, l’output del gruppo anglo-olandese ha subìto una contrazione di circa 455mila barili al giorno. Non una buona notizia in vista della stagione estiva, che porta sempre con sé un aumento dei consumi di benzina nei Paesi più industrializzati.
Il dossier Nigeria va così ad aggiungersi all’ancor più inquietante fascicolo Iran, quarto produttore mondiale di petrolio. «Tutto ciò che accade in Iran è potenzialmente un forte rischio per i prezzi petroliferi - ha detto a Bloomberg Simon Wardell, analista di Global Insight - anche per la vicinanza con i maggiori Paesi produttori». Teheran ha annunciato ieri di aver avviato il suo programma nucleare dopo essere riuscita ad arricchire l’uranio oltre la soglia del 3,5%. Gli Stati Uniti hanno subito ribadito che l’Iran si sta «muovendo nella direzione sbagliata». Nei giorni scorsi il New Yorker aveva riportato la notizia secondo cui la Casa Bianca stava valutando l’ipotesi di impiegare bombe nucleari tattiche contro insediamenti iraniani sospetti.

La successiva smentita di Washington non ha del tutto rassicurato i mercati, che aspettano il pronunciamento dell’Onu sulle possibili sanzioni contro Teheran e la comunicazione del livello delle scorte Usa, attesa per oggi con un incremento degli stock di greggio di 1,2 milioni di barili e un calo di 1,4 milioni per la benzina. In Italia sono intanto scattati nuovi rincari per i carburanti. Dopo i rialzi decisi ieri da Agip e Erg, la verde ha superato la soglia di 1,3 euro il litro in quasi tutta la rete distributiva italiana.

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