Fred, il vignettista che ogni tanto sintetizza le puntate di «Porta a Porta» come fa Vauro con quelle di «Annozero», qualche sera fa, quando il tema della trasmissione era la tormentata nascita del Polo della Nazione, poco prima dei titoli di coda, invitato dal padrone di casa Bruno Vespa, ha lanciato il candido e spietato indovinello: «Belli sono belli, in passato tra loro non correva buon sangue ma ora si sono riuniti. Chi sono? I Take That o Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli?».
La bellezza va a braccetto con il re e con la patria. Lo sapevano già negli anni Quaranta, lo sa anche oggi Silvio Berlusconi che, falcidiando il curioso effetto osmosi che talvolta misteriosamente si crea nei rapporti stretti, è andato dritto al sodo, cioè all’unico, vero aitante dell’ideologicamente variegato trio: «Casini lo votano le donne perché è bello, non perché è democristiano». Ha ragione il premier, che denuncia l’avvenenza degli avversari (più in quanto uomini che in quanto politici) anche per un fatto puramente scaramantico: l’ultima volta che ha posto l’attenzione del mondo sulla bellezza di un uomo è stato nel 2002, quando dell’allora leader del Partito democratico danese, Anders Fogh Rasmussen, aveva sentenziato che era «più bello di Massimo Cacciari» e che quindi avrebbe dovuto presentarlo a sua moglie, Veronica Lario (ormai ex moglie). Oggi Rasmussen è segretario generale della Nato, ma è, di fatto, fuori dalla scena politica «attiva »...
E comunque ha ragione il presidente del Consiglio, quando, additando Casini, insinua che le donne potrebbero sceglierlo anche solo per il suo aspetto fisico. Il voto è, storicamente, una merce di scambio. In qualche caso si tratta di una scodinzolante meretrice cieca, in qualche altro di una integerrima fedele oltranzista. Ma cieca anche in quel caso, comunque... La considerazione di Berlusconi, uomo straordinariamente acceso sugli umori del popolo, non è, come i suoi tanti detrattori potrebbero liquidarla una volta in più, un’esternazione misogina, becera o qualunquista.
La gente va verso il bello (e questo il Cavaliere lo sa bene, vale sia per le donne che per gli uomini), perché la bellezza rende scevri dalla colpa. Perché essere brutti è una colpa, un sospetto, un giudizio morale negativo. Preferiamo affidarci ai belli perché abbiamo la «razzista », perfida convinzione che siano più a loro agio con la vita. Meno cattivi, meno recriminanti, meno arrabbiati. Perché pensiamo che abbiano meno di cui vendicarsi, perché pensiamo che non sia del nostro sacrificio di ingenue elettrici che hanno bisogno di ingozzarsi per essere ripagati di qualcosa che gli è stato negato fin dall’inizio.
Non è (solo) la bella faccia di Casini a rassicurarci su Casini. È tutto ciò che, grazie a quella bella faccia, pensiamo gli abbia già concesso la vita.
Un bello ce lo immaginiamo inconsciamente (e non solo inconsciamente) più buono, più sereno, più libero di concentrarsi sulle nostre lotte perché ha già risolto (senza neppure doverla iniziare) quella più difficile che riguarda il vivere. Un brutto al potere si trascina dietro l’eterno, odioso, imperdonabile sospetto: «Mica vorrà farla pagare a noi?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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